Mentre apriamo le frontiere alle merci, le chiudiamo agli esseri umani, lasciandoli affogare in mare. Questo è il senso della politica economica dell’occidente. E così, mentre aumentano i naufragi, mentre migliaia di donne, uomini e bambini cercano di scappare dai loro paesi devastati dalle guerre e dalla miseria affrontando estenuanti traversate, i governanti fanno orecchie da mercanti. Più di 700 persone sono morte nell’ultima settimana, nel Mediterraneo, dal naufragio di 3 barconi provenienti da Libia ed Egitto. La stima arriva dall’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma la stima di Medici senza Frontiere è ben più grave: 900 persone sarebbero morte in mare in una sola settimana. Profughi di guerra, ma anche profughi ambientali, gente che scappa dalla miseria e dagli sconvolgimenti climatici. Nel 2012 32,4 milioni di persone nel mondo sono state costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali.
Si dovrebbe creare un canale privilegiato, sicuro, umanitario, che porti questa gente al salvo. Ma bisogna anche affrontare il problema alla radice. E una delle radici è il libero commercio senza regole. Le multinazionali, che subappaltano la produzione laddove sussistono minori regole ambientali e minori tutele sindacali, sicuramente riusciranno a strappare prezzi più bassi, a scapito dell’ambiente, dei lavoratori e della leale concorrenza. Senza calcolare la quantità di CO2 prodotta e di energia sprecata dall’intenso traffico aereo e navale delle merci. Il concetto food miles indica l’impressionante distanza percorsa dal cibo che mangiamo prima arrivare nelle nostre tavole. La globalizzazione dello sfruttamento e dell’inquinamento è quello che a cui l’Ue andrebbe incontro firmando due accordi commerciali di vasta portata:
1. con gli Stati Uniti (Ttip = Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti)
2. con il Canada (Ceta = accordo economico e commerciale globale)
La linea ufficiale è che questi accordi creeranno posti di lavoro e aumenteranno la crescita economica, mentre i veri beneficiari saranno le multinazionali e non i cittadini. Se gli accordi venissero firmati, le aziende canadesi e statunitensi avrebbero il diritto di citare in giudizio per danni i governi dei singoli paesi o dell’intera unione europea, se credessero di aver subito delle perdite economiche (per esempio con l’introduzione di nuove leggi per la tutela dell’ambiente o dei diritti dei consumatori); sarà molto più difficile migliorare o mantenere i nostri standard per i prodotti alimentari, i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e i diritti dei consumatori; l’Ue e i suoi Stati membri si troverebbero sotto pressione, al fine di consentire tecnologie a rischio come per esempio: il fracking (frantumazione idraulica del sottosuolo per estrarre gas da argille o petrolio) e la modificazione genetica (ogm).
Ricordiamoci che, già ora, tanto di quello che acquistiamo è fatto nei paesi poveri, alimentando sfruttamento, povertà, guerre e inquinamento. Dai vestiti alle scarpe, dal cibo ai giocattoli, dall’anello d’oro che abbiamo al dito, allo smartphone che abbiamo in tasca, dal caffè al diamante. A meno che tutti questi prodotti non siano certificati fair trade, o provengano da centrali di importazione del commercio equo e solidale, possiamo stare certi che sono stati prodotti con scarso o nullo rispetto delle regole sociali e ambientali. Allora impegniamoci ad accogliere i profughi, a combattere contro le politiche che li respingono. Impegniamoci a lottare contro il Ttip e a respingere questo trattato antidemocratico. Ma soprattutto, nella vita di tutti i giorni, impegniamoci a vivere con coerenza, a comprare con coscienza, a non renderci complici dell’inquinamento e dello sfruttamento di milioni di persone.