Decine e decine di imprese allontanate in corso d’opera dai cantieri di Expo a Milano. Costruttori di origine calabrese in delegazione dal prefetto di Reggio Emilia lamentando persecuzioni “etniche”. Un’azienda da 1.200 dipendenti, la Tecnis, sfilata dai cantieri della Salerno-Reggio Calabria. Colpita persino una società con capitale pubblico, la Gesenu partecipata dal Comune di Perugia, che si occupa di nettezza urbana. Il filo che lega tutte queste vicende è l’interdittiva antimafia, l’atto amministrativo, inflitto dalle prefetture, che permette all’amministrazione pubblica di interrompere qualsiasi rapporto contrattuale con imprese che presentano un pericolo di infiltrazioni mafiose. E questo al di là di eventuali processi che sanciscano la colpevolezza definitiva di titolari o dirigenti. Può bastare un’inchiesta in corso, se fondata su elementi consistenti, una frequentazione sospetta, un socio opaco, una parentela pericolosa.

Ma l’interdittiva antimafia funziona? Difficile saperlo con esattezza perché a cinque anni dal decreto 159/2011 che ha riorganizzato la materia, nessuno nell’apparato dello Stato ha in mano i dati completi su quante ne siano state fatte dalle prefetture, quante aziende colpite siano ricorse al Tar, e quante interdittive siano state annullate dal tribunale amministrativo o dal Consiglio di Stato. Ma c’è comunque chi ritiene lo strumento inadeguato e vorrebbe riformarlo. Come il senatore Pd Stefano Esposito, membro della Commissione parlamentare antimafia, che al recente convegno “Warning on crime” all’Università di Torino ha affermato che “lo strumento non funziona e nel 60% dei casi le interdittive vengono respinte” dai giudici amministrativi. E’ dunque necessaria “una riforma”. Contattato da ilfattoquotidiano.it, Esposito ha precisato di non essere però ancora in possesso di dati completi.

D’Esposito (Pd): “Non funzionano, il 60% respinto dal Tar”. Ma i numeri dicono il contrario

I numeri disponibili danno però indicazioni opposte. La Direzione investigativa antimafia, su richiesta della Commissione parlamentare, ha chiesto alle Prefetture i dati sui provvedimenti emessi negli ultimi cinque anni, rapportati agli annullamenti eventualmente imposti dai giudici amministrativi. Non tutte hanno risposto, a cominciare da uffici di frontiera come Napoli, Reggio CalabriaVibo Valentia. Il risultato, comunque, è che su oltre quattrocento interdittive emesse in Italia tra il 2011 e il 2015, solo 31 sono state annullate (i dati arrivano sino al maggio 2015). Meno di una su dieci, insomma.

La Dia sottolinea che tutto il settore soffre di una certa disorganizzazione. L’impegno, in questi ultimi anni, è stato quello di centralizzare i dati, in modo che le informazioni disponibili fossero archiviate in un unico contenitore e quindi immediatamente consultabili. Il punto di partenza sono le prefetture, le autorità che dispongono le interdittive. Ma “accade sovente che l’Osservatorio centrale appalti pubblici (Ocap), istituito sempre presso la Dia, venga a conoscenza incidentalmente, tramite altre fonti non prefettizie, dell’esistenza di un precedente provvedimento nei confronti di una società, che non era stata a suo tempo oggetto di specifica informazione da parte della competente Prefettura”.

I dati completi? Nessuno li conosce. La Dia ha chiesto i dati alle Prefetture, ma non tutte hanno riposto

Oltre all’Ocap, altro contenitore utile è il Sistema informatico rilevamento accesso ai cantieri, detto Sirac 2.0, che viene alimentato da operatori delle Prefetture. Ma anche qui, fanno notare alla Commissione antimafia gli uomini della Dia, “nel corso del tempo si è verificata una non puntuale alimentazione di detta banca dati da parte degli Uffici territoriali del governo”. Le Prefetture, appunto. Questo però non significa che lo strumento pensato per tenere lontane dagli appalti pubblici le aziende potenzialmente colluse sia arrugginito o mal funzionante.

La Lombardia e la Milano di Expo, soprattutto nell’ultimo anno, lo dimostrano. La Dia riferisce che a far data dal 2008 a oggi, sono oltre 200 le interdittive emesse nella regione. Per quanto riguarda il solo caso di Milano e limitatamente alle opere di Expo 2015 dal primo gennaio 2013 a oggi, a fronte di un totale di 64 provvedimenti interdittivi emessi, solo due sono stati definitivamente annullati dal Tar. Contro i restanti sono stati fatti ricorsi poi respinti in primo grado o al Consiglio di Stato.

Al Sud, sono le prefetture siciliane che presentano i dati più completi. La Dia di Catania ha raccolto quelli della provincia etnea e di quelle di Siracusa e Ragusa, dove tra il 2014 e il 2015 sono state emesse 26 interdittive, otto delle quali risultano pendenti dinnanzi al Tar. Palermo ha poi riferito che negli ultimi cinque anni sono state annullate appena nove interdittive (manca però il dato complessivo di quelle emesse); mentre a Caltanissetta non risultano interdittive annullate. Inesistente invece il dato di Trapani.

In Lombardia 200 interdittive dal 2008 a oggi, 64 per Expo. In Emilia più che in Sicilia

A Reggio Emilia – dove una raffica di interdittive ha suscitato la rivolta di molti imprenditori calabresi, come emerso poi dall’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta trapiantata nella regione rossa – sono state emesse, sempre negli ultimi cinque anni, 46 interdittive delle quali una sola risulta annullata dal Tar. Nell’intera regione, nello stesso periodo, sono poi state emesse 86 interdittive delle quali appena tre, allo stato, risultavano annullate. Il confronto fra Nord e Sud, per quanto basato su numeri parziali, sembra indicare che nelle regioni a maggiore presenza mafiosa i prefetti siano più restii a intervenire rispetto ai colleghi settentrionali. Anche per questo sarebbe importante avere le statistiche complete.

“Sarebbe opportuno che il ministero degli Interni mettesse a disposizione i dati sulle informative adottate dalle singole prefetture, con particolare riguardo alle regioni più ‘a rischio’, al fine di poter meglio valutare l’utilizzo dello strumento nelle diverse aree del nostro territorio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giulio Marotta, responsabile dell’Osservatorio parlamentare di Avviso Pubblico, che ha appena curato un articolo sul tema delle interdittive sul sito della rete degli enti locali contro le mafie.

Marotta (Avviso pubblico): “Le mafie si mimetizzano nell’economia, strumento per colpirle”

Le indagini di polizia e magistratura danno conto della dimensione delle infiltrazioni mafiose nell’economia, non soltanto nelle aree di radicamento storico. Dimensioni consistenti “grazie anche alla capacità delle mafie di mimetizzarsi sempre più nella società, attraverso una fitta rete di rapporti sia con soggetti organicamente legati sia con altri indotti a ‘collaborare’, magari per paura, con i gruppi criminali e ad agevolare i loro traffici”, continua Marotta. Per questo “occorre che lo Stato affini costantemente gli strumenti di monitoraggio e indagine”. A cominciare appunto “dalla concreta applicazione dell’informativa antimafia che viene oggi utilizzato per colpire le diverse forme in cui oggi si concretizza il potere di condizionamento delle mafie nei confronti delle imprese. L’analisi svolta da Avviso Pubblico evidenzia questo sforzo di adeguamento a una realtà in continua evoluzione”.

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