Si vota a Tagliacozzo, cittadina abruzzese assurta alle cronache per una serie di vicende che l’hanno sconvolta in un crescendo impetuoso: aggressioni, risse, retate per spaccio di droga, rapine e furti nelle case, un omicidio maturato in clima di violenza, fino agli incendi di auto e arresti che hanno travolto l’amministrazione uscente. Nel frattempo, anche al di là di tutto questo, la situazione socio-economica del paese si trascinava già da decenni in una lenta agonia. È chiaro che per uscire da questa situazione è necessaria una svolta, un radicale cambiamento di rotta con cui mettere da parte le forze che hanno da sempre dominato la scena pubblica e provare a intraprendere una diversa strada per mettere finalmente in atto concreto, ad esempio, la sempre decantata “vocazione turistica”, eterna promessa mai mantenuta, per il rilancio dell’economia su nuove basi.
Non sono certo questi gli obiettivi dell’ex sindaco, che si ripresenta con quel che gli resta della vecchia giunta e un programma minimo improntato espressamente alla continuità. Va detto che l’amministrazione non ha oggettivamente brillato in questi anni e, paradossalmente, una spinta decisiva all’iniziativa del sindaco uscente è venuta proprio dalle vicende giudiziarie che l’hanno coinvolto, permettendogli di pescare nel sentimento anti-magistrati coltivato dai media nell’ultimo ventennio. Non per nulla, a supporto, si sono mossi esponenti regionali di Forza Italia e ci sono dentro espressioni di Noi con Salvini. Avrebbero potuto essere dirompenti i Movimento 5 stelle, che si presentano con un’ottima candidata sindaco. Purtroppo però, il già piccolo gruppo si è diviso al suo interno e ne è uscita una lista debolissima che quasi certamente non raggiungerà neppure il quorum per avere un consigliere di minoranza. Chissà se in casi come questo non sarebbe stato utile smussare la resistenza del Movimento di fronte ad accordi con liste che rispettino determinati principi e ne garantiscano una adeguata rappresentanza.
E veniamo alle due liste che si contendono la vittoria finale: da una parte c’è “Tagliacozzo Unita” di Montelisciani, dirigente di Sel. Il suo gruppo, da anni espressione della sinistra più radicale, si è unito con la parte dissenziente dell’amministrazione di destra uscente per dar vita a una lista che amano definire “genuinamente civica”. In effetti ci sono espressioni di tutte le parti politiche sia tra i candidati, sia nei gruppi che per mesi si sono incontrati e confrontati per l’elaborazione del programma. Last but not least, la lista “Prospettiva futura”: stesso nome, simbolo e programma con cui persero le elezioni 5 anni fa. Il candidato sindaco è Giovagnorio, figlio dell’avvocato (recentemente scomparso), più volte candidato col Msi, testimone di nozze di Almirante. Anche questa lista è civica, avendo espressioni di vari settori della società civile, e tanto che vi è confluito il Pd con il suo segretario di fatto e un paio di esponenti minori. Tutti i principali rappresentanti del partito a livello sovra comunale si sono avvicendati in incontri di sponsorizzazione della lista con promesse di finanziamenti per interventi futuri (per una lista, ripeto, con guida a destra). Persino la senatrice Pezzopane si è scomodata.
Ora io conosco abbastanza le dinamiche della politica locale, so bene quanto siano determinate principalmente da rapporti familiari, amicali, personali (specie in seguito all’attuale, totale perdita di credibilità degli schieramenti tradizionali) ma faccio uno sforzo per estrapolare il dato politico di queste elezioni. Mi riferisco principalmente al Pd, in quanto principale se non unico partito superstite. Ancora prima che Renzi s’impadronisse del partito a livello nazionale, a Tagliacozzo, un esponente e un gruppo che non avevano nulla in comune con la storia e la cultura di centrosinistra riuscirono a estromettere quel che restava del vecchio Pci (oggi sono con Fassina e hanno un candidato nella lista di Montelisciani).
Già 5 anni fa, fu gestita così male la fase della formazione della lista che il Pd riuscì a perdere una tornata in cui la destra si era divisa in tre liste concorrenti. Oggi, il maggior partito d’Italia si accontenta di un segretario di fatto che si autocandida a vice-sindaco e mira a portare con se una donna grazie al gioco della preferenza doppia. Un altro paio di candidati farebbero riferimento a un altro esponente regionale. In ogni caso, non s’intravvede la benché minima elaborazione programmatica o politica generale. Risuona l’eco di quel pragmatismo e voglia di potere fine a se stesso che, a più alti livelli, porta alle intese al ribasso con Verdini e Alfano.