I risvolti penali sono ancora in forse ma di sicuro è un pozzo pieno di opacità. A metà maggio finisce sul tavolo del cda dello Ior e della sua commissione cardinalizia un dossier con tutte le operazioni di finanza spericolata degli ultimissimi anni. Il rapporto, che il Fatto quotidiano ho potuto vedere, allinea una lunga serie di attività sospette. Eccole
La riunione è stata molto riservata e molto tesa. Martedì 17 maggio 2016, incontro congiunto in Vaticano del consiglio d’amministrazione dello Ior e della sua commissione cardinalizia. Vale a dire l’intera gestione “duale” dell’Istituto opere di religione: i laici del Board of Superintendence, il consiglio operativo presieduto da Jean Baptiste de Franssu; e i cardinali dell’organismo di controllo, con a capo lo spagnolo Santos Abril y Castelló. Il tema all’ordine del giorno era delicatissimo: l’analisi di un rapporto sulle operazioni finanziarie condotte dallo Ior negli ultimissimi anni. Con perdite per oltre 300 milioni di euro. Frutto di una gestione certamente non oculata, visti i risultati, ma molto probabilmente anche opaca. Sono stati commessi anche reati? È quanto dovranno stabilire ora le autorità giudiziarie vaticane e dei diversi paesi in cui le operazioni finanziarie si sono dispiegate.
Il rapporto, che il Fatto quotidiano ho potuto vedere, allinea una lunga serie di attività sospette. Tra queste, un’emissione di “promissory notes” per 120 milioni, che lo Ior ha realizzato nel biennio 2011-2012 con Goldman Sachs: con una perdita di almeno 11 milioni. Altri buchi sono stati provocati da un fondo con un beneaugurante nome latino, Ad Maiora, che ha però accumulato perdite per 27,3 milioni su un investimento di 223 milioni. Ha operato attraverso diversi veicoli finanziari, tra cui Ecp International s.a., Megatrend, Futura Fund, Kappa Fund. Ha impiegato fiduciarie di Lugano e una società chiamata Cougar. Ha realizzato investimenti negli Stati Uniti e in Ungheria. Tra questi, l’acquisto di un immobile a Budapest. Operazioni sbagliate, viste le perdite milionarie, ma anche poco chiare, tanto che allo Ior sono già stati restituiti, con un accordo bonario, 16 milioni.
Ad Maiora, malgrado il nome, è un buco nero in cui spariscono anche cifre altissime pagate in commissioni. Lo Ior sborsa 1,4 milioni di fees nel 2012, 1,5 nel 2012-2013, 5 milioni nel 2012-2014, per attività che passano inspiegabilmente attraverso più intermediari, tutti remunerati da alte commissioni: Ad Majora, Ecp e infine Megatrend, costituita da Ecp nel dicembre 2012. Ad Maiora investe, nel marzo 2013, 10 milioni in Clearness Fund e ne perde 6. Con il Marco Polo Fund scommette 36 milioni su compagnie cinesi tra il settembre 2012 e il gennaio 2013, ma perde tra i 5 e gli 8 milioni.
Chi sono i responsabili di questa gestione e di queste perdite? Il documento non lo dice. Ma invita a coinvolgere le autorità di controllo e anche quelle giudiziarie per illuminare i tanti angoli bui. Sappiamo che il 25 maggio, otto giorni dopo la riunione del 17, un comunicato del Vaticano ha annunciato le dimissioni di due membri del Consiglio di Sovrintendenza, Clemens Borsig e Carlo Salvatori. “Un normale avvicendamento”, ha dichiarato allora il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, “che va compreso nel quadro delle legittime riflessioni e opinioni circa la gestione di un Istituto di natura e finalità così particolari come lo Ior”.
Alcuni strumenti finanziari che compaiono nel rapporto – Futura Fund, Kappa Fund – hanno per protagonista Alberto Matta, gestore di fondi già coinvolto in operazioni a rischio realizzate con fondi Enasarco e Eppi, le casse di previdenza italiane degli agenti di commercio e dei periti industriali. Erano in rapporti con Matta anche Paolo Cipriani e Massimo Tulli, ex direttore e vicedirettore dello Ior, già indagati per riciclaggio in Vaticano e dalla Procura di Roma, che hanno subito, nell’agosto 2014, un sequestro conservativo ordinato dal Tribunale civile vaticano per il valore di 27,885 milioni su conti Ior.
Anche al netto degli scivoloni penali, in Vaticano continua da mesi lo scontro tra due modi d’intendere lo Ior: investment bank, attiva sui mercati finanziari internazionali, oppure strumento di gestione delle “opere di religione”? La prima accezione sembra prevalente nel Consiglio di Sovrintendenza, la seconda nel collegio cardinalizio e nella volontà del papa. Ora il rapporto approvato il 17 maggio da entrambi gli organismi che dirigono lo Ior mette pesantemente sotto accusa le sue attività da investment bank. Il documento è stato redatto da un pool di grandi studi legali inglesi, francesi e svizzeri incaricati dalle autorità vaticane di avviare anche le azioni civili e penali che appaiano necessarie. E di farlo in Vaticano e in tutti quei paesi dove le operazioni sospette sono state condotte. Insomma, nella chiesa di papa Francesco i panni sporchi non si lavano più in casa.