Ancora un naufragio di migranti nel Mediterraneo. E’ avvenuto a sud di Creta, dove la Marina greca ha finora tratto in salvo 340 persone da un barcone “affondato per metà”. L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) ha riferito che quattro cadaveri sono state recuperati in mare, ma che a bordo c’erano almeno 700 migranti. E anche sulle coste nordafricane prosegue l’emergenza: almeno 117 corpi, tra cui quelli di 70 donne e cinque bambini, sono stati ritrovati sulla costa della città libica di Zuwara, a 120 chilometri da Tripoli. A riferirlo all’Ansa è stato il portavoce della Mezzaluna rossa libica, Mohamed Misrati. Secondo il portale Migrant Report, “molti corpi sono in avanzato stato di decomposizione” e si ritiene che appartengano a “migranti morti in una serie di naufragi avvenuti alla fine della scorsa settimana nelle acque libiche“.
Il naufragio a sud di Creta – L’imbarcazione su cui viaggiavano i migranti ha iniziato ad affondare in acque internazionali 75 miglia a sud del porto di Kalo Limeni. A dare l’allarme è stata la Guardia Costiera italiana. Quattro imbarcazioni, oltre ad aerei ed elicotteri, prestano soccorso. “Alcuni migranti sono finiti in acqua. Le navi che incrociavano in zona (almeno quattro) hanno lanciato delle zattere di salvataggio e stanno intervenendo per salvare vite umane“, hanno annunciato le autorità portuali. Secondo gli inquirenti il barcone potrebbe essere partito da Libia, Egitto o Turchia (secondo le testimonianze dei primi uomini tratti in salvo). La loro destinazione potrebbe essere stata l’Italia, ma non si esclude che gli scafisti fossero diretti in Grecia cercando di aggirare le pattuglie della Nato dispiegate più a nord nell’Egeo.
Amnesty: “Turchia non è sicura per i migranti” – A oltre due mesi dall’approvazione dell’accordo, Amnesty International interviene critica sull’intesa per i migranti siglata da Turchia ed Europa e chiede a Bruxelles di “interrompere immediatamente i piani di rinvio dei richiedenti asilo” ad Ankara “sulla base della falsa pretesa che sia un Paese sicuro”. Nel rapporto “Nessun rifugio sicuro: richiedenti asilo e rifugiati privati di protezione effettiva in Turchia”, l’ong sottolinea povertà, violazione dei diritti e nessuna possibilità di integrazione per i migranti che “non ricevono un’effettiva protezione” da Ankara, a dispetto dell’accordo fra il presidente Erdogan e l’Unione Europea siglato il 18 marzo, che prevede il loro ritorno in Turchia, Paese erroneamente considerato “sicuro”.
Per Amnesty la Turchia è ben lontana dall’esserlo: “L’accordo Ue-Turchia è sconsiderato e illegale”, ha detto John Dalhuisen, direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Amnesty. “Le ricerche di Amnesty International – continua – dimostrano che l’idea che la Turchia sia in grado di rispettare i diritti umani e di soddisfare le necessità di oltre tre milioni di richiedenti asilo e rifugiati è una mera finzione”. Secondo Amnesty, le difficoltà dell’accoglienza nel “Paese che ospita il più alto numero di rifugiati al mondo” (2,75 milioni di siriani e 400 mila tra iracheni, afgani e iraniani) erano “prevedibili”. I dati raccolti mostrano che solo il 4% delle 266 mila richieste di asilo registrate lo scorso anno dall’Unhcr sono state prese in carico. La maggior parte dei profughi, quindi, rimane “in un limbo legale, a volte per anni”. Nel frattempo, solo il 10% dei siriani ha avuto accesso ai campi di accoglienza, mentre gli altri vivono dispersi per il Paese, spesso senza mezzi di sussistenza, come la quasi totalità dei profughi di altre nazionalità.