E' quanto emerge dall'ordinanza contro Vincenzo Paduano che, dopo aver visto la studentessa baciare il nuovo fidanzato, disse a un'amica che "in qualche modo gliela avrebbe fatta pagare". Nonostante questi elementi il giudice ha fatto cedere l'accusa della premeditazione nei confronti della guardia giurata perché "il solo possesso del liquido infiammabile non dimostra l'aggravante". "Nessun ripensamento da parte del 27enne quando ha lasciato il corpo in fiamme della ragazza"
Una settimana prima di essere pedinata, strangolata e bruciata viva, Sara Di Pietrantonio era già stata aggredita dall’ex fidanzato Vincenzo Paduano, che non accettava la fine della loro storia e da lì a pochi giorni si sarebbe trasformato nel suo killer. E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di Roma, Paola Della Monica, che ha confermato l’arresto del 27enne guardia giurata, accusato dalla procura di omicidio volontario premeditato e stalking per l’assassinio della studentessa di 22 anni, uccisa in via della Magliana la notte di sabato scorso. Il giudice per le indagini preliminari, però, non ha riconosciuto la premeditazione, perché secondo la ricostruzione la notte tra il 28 e il 29 maggio “Paduano ha utilizzato sostanza infiammabile per dare fuoco all’autovettura” di Sara. Non a lei, che forse poteva salvarsi se Paduano invece di guardarla bruciare velocemente e andarsene l’avesse soccorsa.
“Ho preso Sara per un braccio, anche se una relazione finisce serve rispetto”
L’aggressione che ha preceduto l’omicidio avviene il 22 maggio, quando Paduano affronta Sara davanti al suo nuovo fidanzato, Alessandro. In quell’occasione – confessa Paduano durante l’interrogatorio davanti al gip – “ho chiesto e intimato a Sara di salire in auto e parlare con me, io penso che finita una relazione non debba finire il rispetto di una persona così ho preso Sara per un braccio e l’ho fatta entrare in auto”.
Un’amica: “Disse che gliela avrebbe fatta pagare”
Dall’ordinanza emerge anche che un’amica di Sara, Francesca Amicizia, spiega agli inquirenti che Paduano, dopo aver visto la ex dare un bacio al nuovo fidanzato, le dice che “in qualche modo gliela avrebbe fatta pagare“. La stessa amica dichiara che Sara le aveva confessato di essere stata costretta a cambiare la password di Facebook in modo che Vincenzo, “esperto di informatica, non riuscisse ad ‘azzeccare’ anche quella” per leggere le sue chat private.
Sara alla mamma: “Vincenzo è un bravo ragazzo che sta soffrendo”
La sera stessa dell’omicidio, poi, Sara e Vincenzo si vedono sotto casa della ragazza per avere un ultimo incontro chiarificatore, nel quale Sara conferma di frequentare Alessandro. Vincenzo se ne va e Sara dice alla madre, Tina, che l’ex “è una brava persona, sta soffrendo”. Tanto che la donna racconta agli inquirenti di essersi complimentata con la figlia per “la pazienza e la maturità dimostrata nell’affrontarlo”. Che non l’hanno salvata da una morte disumana.
Gip: “La sera dell’omicidio Paduano era lucido”
Ma dalle 13 pagine di ordinanza emergono tutte le contraddizioni e le versioni contrastanti che il killer dà agli inquirenti. Durante l’interrogatorio, ad esempio, Paduano spiega che la sera dell’omicidio lascia sul posto di lavoro il telefono in carica “per non avere la tentazione di controllare gli accessi di Sara”. La versione non convince però il gip: “Assume rilievo la circostanza che Vincenzo Paduano abbia dapprima lasciato in un ufficio il suo telefono cellulare e ciò al fine evidente di non essere ‘tracciabile’ e abbia poi lucidamente creato un’apparenza di normalità rientrando in ufficio, salutando il collega e poi rientrando a casa”.
“Paduano si allontana senza prestare soccorso, Sara tenta di spogliarsi ma la combustione è troppo rapida”
Prima, però, dà fuoco all’auto della sua ex e vede il corpo di Sara avvolto dalle fiamme. Ma nonostante questo, ricostruisce il giudice, “si è allontanato senza prestare soccorso alla vittima e senza, dunque, neppure tentare di spegnere le fiamme; anzi – si legge ancora – il rinvenimento vicino al corpo della ragazza di uno stivale non calzato induce a ritenere che” Sara “abbia tentato, ma solo per un attimo tale deve essere stata la rapidità della combustione, di liberarsi degli indumenti da sola”.
“Ho perso la testa”. Giudice: “Nessun ripensamento anche quando il corpo era in fiamme”
“Ho perso la testa. Avrei preferito esserci io al suo posto”, ha detto Paduano agli inquirenti durante l’interrogatorio reso quando è stato fermato e inserito nell’ordinanza. “Non ho capito più nulla. Mi vergognavo, avevo paura di quello che avrebbe potuto raccontare all’indomani” si giustifica il ragazzo, spiegando che aveva in macchina la bottiglietta di alcol perché alcune persone con cui si era confidato gli avrebbero consigliato di incendiare l’auto del suo nuovo ragazzo. “Volevo spaventarla. Sono un mostro. Non ho colpito Sara. Ho acceso la sigaretta. Eravamo vicini, stavamo continuando a discutere, c’è stata una fiammata. Me ne sono andato. Mi vergognavo”. Il killer reo confesso dice di avere ricordi vaghi, anche a causa dell’uso di marijuana. In casa gli sono stati trovati 50 grammi di hashish. Per il gip “assume altresì rilievo che Vincenzo Paduano non abbia avuto neppure un attimo di ripensamento sia quando ha lasciato il corpo in fiamme della ragazza, sia in seguito”.
“Corpo di Sara volutamente bersaglio”
“Il corpo di Sara è stato, volutamente, bersaglio del gesto compiuto da Paduano”, si legge ancora nell’ordinanza. “Deve ritenersi che il liquido infiammabile sia stato utilizzato quando Sara Di Pietrantonio non era più a bordo dell’auto e quindi deve concludersi che ella non può essersi sporcata accidentalmente mentre era a bordo dell’auto, come dichiarato dall’indagato”, continua il giudice. “Ugualmente inverosimile è l’affermazione che poi gli indumenti della ragazza abbiano preso fuoco a causa dell’accensione di una sigaretta”. Per il gip, però, l’intenzione iniziale di Paduano era quella di danneggiare l’auto. “E’ plausibile che si fosse dotato della sostanza infiammabile per danneggiare l’autovettura e che l’avesse, a tale scopo, portata con sé quella sera. In altri termini – ragiona il giudice – il solo possesso dell’alcool non si ritiene possa dimostrare la sussistenza dell’aggravante”.