Alla fine se n’è accorta anche la Bbc che ha spedito a Preston, contea di Lancashire, nel nordovest del Regno Unito, un suo giornalista. Per capire come sia possibile che nell’ospedale locale di secondo livello un quarto degli infermieri in servizio siano italiani. Tutti giovani, tutti freschi di laurea e invogliati da un sistema sanitario che non solo paga più che dalle nostre parti, ma offre opportunità professionali allettanti. Ilfattoquotidiano.it aveva già parlato dell’esodo di tanti infermieri italiani nel Regno Unito, ma in questo caso si tratta di una colonia numerosissima e molto localizzata partita in gran parte dal Veneto, che si è insediata e inserita senza difficoltà. Una filiera che ha saltato le agenzie di collocamento e che si interfaccia direttamente con l’Ipasvi, l’ordine professionale degli infermieri di Venezia. Cervelli pronti ad afferrare l’occasione, anche per superare pastoie burocratiche e lentezze di assunzione che accompagnano il nostro sistema sanitario.
“Ho fatto il salto senza essere sicura di quello che facevo e dove stavo andando”, spiega Valentina Marchesini, senza rimpianti. “Avevo voglia di cambiare aria e l’ho fatto. All’inizio un po’ di voglia di tornare c’era, adesso mi trovo benissimo qui”, dice la trevigiana Maria Cappelleto, che paga 300 sterline al mese per dividere una casa con altri tre veneti. “Dopo una mezza giornata di colloqui mi sono ritrovato con un lavoro, senza aspettare come accade in Italia”, racconta Nicolò Mattana, 23enne di Mestre, la cui passione è il pronto soccorso.
Tre ragazzi, tre storie che sintetizzano un’esperienza collettiva diventata già un caso in Inghilterra. Un po’ sciovinisticamente la Bbc si è chiesta se gli italiani non stiano portando via il lavoro ai giovani inglesi. Ma i responsabili dell’ospedale e dell’università hanno spiegato che per coprire le esigenze di personale non ci sono abbastanza persone. Per creare gli infermieri del futuro servono almeno tre anni e i pazienti inglesi non possono attendere. “Gli italiani riempiono un bisogno, noi cerchiamo di supportarli e di farli sentire come a casa loro”.
“Infatti, noi stiamo benissimo. Viviamo molto tra di noi, ma facciamo tutto quello che fanno gli inglesi. Andiamo al parco, a giocare a pallone, al pub, ci troviamo in casa tra amici. Ma soprattutto lavoriamo” spiega Mattana, che ha fatto un po’ da apripista un anno e mezzo fa. In gioco ci sono due fattori, quello economico e quello professionale. Il primo è spiegato dalla sua busta paga. “Il record l’ho raggiunto un mese in cui ho guadagnato 2.340 sterline, poco più di 3mila euro. Non sempre è così, ma comunque questi soldi in Italia non li guadagnerei. Guardi le voci…”. Senza scatti o lavoro nei week end, lo stipendio mensile è di 1.560 sterline. Ma con gli extra si sale subito a 1700-1.800. La tassazione è del 20 per cento, poi si deve calcolare l’accantonamento per la pensione. “Nell’ultima busta paga le tasse sono state pari a 252 sterline, il fondo pensione 177 sterline. Ho preso 1.718 sterline. A Preston riesco a risparmiare anche mille euro al mese”.
Da Mestre, Luigino Schiavon, presidente dell’Ipasvi conferma: “Quei soldi in Italia al primo impiego se li sognano. Il successo di questo numero elevato di assunzioni è dovuto anche al fatto che i reclutatori inglesi vengono a tenere i colloqui nella sede dell’ordine, c’è un rapporto diretto e una volta all’anno andiamo noi per verificare le condizioni di inserimento”.
A sentire i ragazzi, sono condizioni ottime. Lavorano 37 ore e mezzo alla settimana, ma possono decidere di farlo anche di più e gli straordinari sono pagati. “Con il long day, dalle 7 del mattino si arriva alle 21, 12 ore e mezzo di servizio oltre alle pause. Il notturno dura 10 ore. Ma non è solo una questione economica. Io trovo il sistema sanitario molto appagante”, racconta Mattana. “Ci fanno crescere sia da un punto di vista clinico sia manageriale. Ci pagano i corsi di aggiornamento che in Italia costano anche 500 euro. E poi il turn over è facile. Io ho cominciato a Gastroenterologia dove sono rimasto sei mesi. Poi sono passato al pronto soccorso e adesso, dopo otto mesi, sto per andare al St. Mary’s Hospital di Londra, uno dei quattro di primo livello della capitale. Perché gli inglesi guardano all’utilità di una persona. Se ti piace un’area, ti agevolano. Ti inseriscono dove puoi dare il meglio”. Quindi, niente carriere bloccate.
Forse c’è un po’ di rigidità nei protocolli, ma il sistema sembra essere più organizzato. Qualche difficoltà gli italiani la incontrano con la lingua, anche perché il lavoro richiede contatti continui con i pazienti inglesi e non si può consultare un vocabolario per intervenire in emergenza o in certe situazioni di assistenza. Ma a loro non viene precluso nulla. “Abbiamo la sensazione di essere figure importanti in un sistema sanitario circolare – continua Cappelleto -. In Italia la struttura è piramidale e tutto ruota attorno al medico. Ho sentito dire in una trasmissione televisiva in Italia che forse un infermiere non è adeguato al triage (tecnica per smistare i pazienti in base alle loro urgenze). Ma noi qui l’assegnazione del codice e del colore al pronto soccorso la facciamo”.
Un altro mondo che, infatti, attira i giovani. “In tutto il Regno Unito gli infermieri italiani sono oltre duemila – spiega Luigino Schiavon dell’Ipasvi – molti, se pensiamo che in Italia sono 423mila. Anche da noi il lavoro alla fine si trova, ma bisogna attendere prima che si liberi un posto”. E’ per questo che tanti comperano un biglietto low cost per l’Inghilterra. E lassù se li coccolano. “Ce li teniamo stretti, perché il bisogno c’è e gli italiani ci sanno fare, nonostante i problemi di lingua iniziali”, ha confermato alla Bbc Gail Naylor, direttore dell’ospedale di Preston.