All’estremo. Se non si respira si muore. Ma nutrirsi di sola luce energetica, tipo fotosintesi, senza mangiare né bere, si può? “Seguo le orme francescane, dalla povertà per la ricchezza interiore”. Con approccio laico, senza mire esoteriche (“non pratico nemmeno yoga”), una tenda mongola come casa (yurta-gher) e meno di 200 euro come budget mensile (“piccole spese e telefonia, d’inverno mi scaldo con la legna”), dopo le comparsate tv e le conferenze per l’Italia, ora il franco-italo-tedesco Nicolas Pilartz coordina il raduno internazionale dei respiriani, coloro che si alimentano ‘sottilmente’ oltre autolisi e autofagia da digiuno. La prima edizione del ‘Pranic world festival’ si celebra a numero chiuso a Coccore, in provincia di Ancona, nel verde incontaminato delle Marche tra Fabriano e Sassoferrato, dove, fino a domenica 5 giugno arriveranno 150 partecipanti, tra cui francesi, russi, tedeschi e lituani. “Chi viene cerca l’alternativa Per conoscere nuove esperienze – spiega Pilarz – Per fare alimentazione pranica devi essere in salute, non assumere medicine e avere un accordo medico. Poi si può iniziare un percorso di ricerca e consapevolezza”.
Pilartz non è né vegetariano, né vegano, né fruttariano. E’ onnivoro (cioè mangia tutto). “In Italia? Siamo qualche centinaio, a Parigi lavoravo come ‘game designer’ per giochi da tavolo per bambini, ho mollato tutto”, racconta. Beve poca acqua. E ciclicamente, da due anni, fa il respiriano per 21 giorni, un programma solo ‘Prana, Chi e Manas’, l’energia vitale inseguita dalle tradizioni sin dalla notte dei tempi. Sostiene di non perdere peso e di possedere più energia, dormendo persino meno. Gli chiedo dei suoi reni, delle funzioni di intestino e altri organi vitali. “Le mie analisi sono perfette, mi faccio controllare dal medico. Quello di cui abbiamo bisogno sta nell’energia cosmica“. Nel discorso entrerebbero fisica e biochimica, con tutti i dubbi della medicina tradizionale, secondo la quale senza mangiare né bere per lunghi periodi, si può morire o diventare anoressici, oltre che fomentare modelli emulativi pericolosi. Quali sono quindi i rischi di questa alimentazione pranica? “Le piaghe della società consumistica dell’abbondanza si chiamano tumore, diabete, ipertensione e colesterolo… colpa del cibo!”.
E proprio per capire di cosa si tratta, gli sottopongo le accreditate tesi di André Van Lysebeth (un pioniere dello Yoga in Occidente) citando anche un classico del tantrismo, l’Hatha-YogaPradîpikâ, secondo cui l’Amrita, l’acqua della vita eterna per la tradizione induista, prodotta dalla ghiandola endocrina pineale è il pericolosissimo nettare dell’immortalità degli asceti himalayani, svelati nel ‘900 dall’esploratrice francese Alexandra David-Néel. Materie da maneggiare con cura, con un’elevata conoscenza delle tecniche di meditazione. “No, non c’è niente di questo nel percorso di 3 settimane praniche – risponde Pilartz che traccia un’accomodante via di mezzo – anzi, vorrei un avvicinamento medico-scientifico per spiegare quanto l’intelligenza di vita sia negli stati di connessione cosmica”. Ma il Respiriano nelle città inquinate che senso ha? Quando ossigenazione e ionizzazione negativa sono azzerati dallo smog e le frequenze del fondo naturale alterate dall’elettrosmog? “I ritmi della natura sono ovunque, se le tue cellule hanno una ‘vibrazione alta’ non sei più attaccabile. Tutto è prana intorno a noi…”, conclude.
Nel festival dei breatharians ci sarà spazio per la respirazione olotropica di Stranislav Grof, per la videoconferenza con la discussa Jasmuheen (all’anagrafe, l’australiana Hellen Greve) per il docufilm tedesco ‘In principio era la luce’ – “Non sostiene la tesi che sia necessario smettere di mangiare, contesta la filosofia meccanicistico-materialista prevalente”) e al recente libro di Henri Monfort, respiriano che sostiene di essere stato senza acqua per oltre 3 mesi e 9 anni senza cibo, autore di ‘Alimentazione pranica, un altro cammino verso la spiritualità’ (edizioni Impronte di luce), un diario di bordo per raccontare la sua esperienza. Certo, “c’è il rischio di trasformarsi in un fenomeno da baraccone” – scrive lo sciamano bretone – Ma se proseguo questa esperienza è soprattutto perché mi sento bene. Il piacere che consiste nel mangiare cibo solido, spesso però accompagnato dal dolore di digerire e disintossicarsi, non è nulla in confronto alla beatitudine che provo grazie all’alimentazione pranica”.