Maria Noviello dalla sua misera pensione invalidità ha tirato fuori 20 euro per pagarsi il concerto di beneficenza. E’ nata nel basso a ridosso delle vecchie mura di Palazzo Serra di Cassano, a Napoli. E’ seduta sulla sedia a rotelle in prima fila, di fianco a Vincenzo Siniscalchi, principissimo del Foro. Ha pagato anche lo scrittore Maurizio De Giovanni, con una premessa: “ Questa è una battaglia di civiltà”. Nino Daniele, assessore alla cultura del Comune di Napoli, ha sborsato pure lui l’obolo di presenza. Tutta la città, dalla Cultura con la C maiuscola (ma avara di portafoglio) al popolino, si è mobilitata per lui, Gerardo Marotta, il fondatore dell’Istituto degli Studi Filosofici. Che invece se ne sta seduto in ultima fila, in un angolino, sempre più esile e minuto, sembra inghiottito dai suoi 88 anni e quasi scompare nella poltrona. Indossa la maglia della salute, due pullover, una giacca, un cappotto e il capello. Da quando non ha più i soldi per pagare il riscaldamento ha sempre freddo, un gelo che gli è entrato nelle ossa e non lo abbandona più. L’istituzione culturale che tutto il mondo ci invidia, che dà lustro alla città, con sede nell’appartamento ducale del settecentesco palazzo, ha i conti in rosso.
Va beh, il condominio è “incazzatissimo” perché non ci sono soldi per pagare le spese delle parti comuni, il Comune anche lui sta messo maluccio e Renzi con il ministro della Cultura Franceschini dovrebbero, loro, essere rossi di vergogna. Mentre ascolto il quartetto di archi che fanno vibrare le note di Hydin e di Mozart, controllo un po’ di dati su Wikipedia: 27mila tra filosofi, sociologi e matematici, il fior fiore dell’intelleghenzia europea, ospitata in 40 anni di attività, migliaia di borse di studio erogate a giovani ricercatori (una media di 2.500 all’anno). Oggi il patrimonio di 30mila volumi è lasciato ammuffire in scantinati e capannoni di periferia. E Gerardo è povero in canna. “Ho venduto tutto, le proprietà mie e di mia moglie. Ora ho debiti con tutti, perfino con il salumiere”, lamenta il Grande Anziano.
Fa rabbia soprattutto perché l’Istituto avanza una marea di soldi dallo Stato. “Mio zio ha vinto cause e ricorsi per i contributi arretrati”, spiega il nipote Sergio Marotta che aggiunge: “Ci devono 30 milioni”. “Si potrebbe fare una transazione. Figurarsi che perfino un milione e mezzo di euro stanziati per l’Istituto dalla Comunità Europea sono arrivati alla Regione (sedeva ancora Caldoro) e per una mala gestione sono ritornati indietro”, interviene l’assessore Daniele.
Mentre Renzi sta a guardare si bussa alla porta dell’arte. Perché la vivace vita culturale napoletana non può prescindere da due galleristi-totem che hanno inserito la città sulla rotta internazionale dell’arte contemporanea. Si chiamano Alfonso Artiaco e Lia Rumma, entrambi veraci sostenitori di Marotta. Del primo scriveremo nella prossima puntata di Trash&Chic, visto che ha appena ospitato in galleria il primo ministro albanese che fa anche l’artista.
Lia è schiva. Non ama le smancerie e le adulazioni dei suoi artisti. E’ stata amica di Andy Wharol e di Keith Haring, nella sua scuderia sono passati Kiefer e Pistoletto, quando erano dei signori nessuno. Quando la chiamano “la regina di quadri” lei risponde: “Sono solo un’operaia dell’arte”. Oggi tutti vogliono fare gli artisti, c’è molta improvvisazione, ma sono solo imbrattatori di tela. Per una come lei che ha fiuto, l’artista bravo è l’ago nel pagliaio. Il suo ago nel pagliaio si chiama Giuliano Dal Molin, vicentino, appena presentato nella sua galleria napoletana. Dal Molin non dipinge e non scolpisce nel senso convenzionale del termine, sperimenta forme e colore. Mentre in galleria è tutta una processione di speranzosi artistoidi: “Hai visto Lia?…Dove è Lia? Ho visto Lia…”. Lia Rumma sta ai giovani artisti come la Madonna sta ai veggenti di Medjugorje.