Tra il 2003 ed il 2004, i Marines americani hanno partecipato ad alcuni dei più sanguinosi combattimenti della guerra in Iraq durante l’assedio di Falluja, una cittadina a meno di 80 chilometri da Baghdad, nel cosiddetto triangolo sunnita. Al Zarqawi ed il suo gruppo di jihadisti avevano stabilito una delle loro basi strategiche proprio in questa città. Dopo il surge, l’aumento del contingente americano in Iraq, ed il risveglio arabo del 2007 – quando gli americani convinsero gli abitanti del triangolo sunnita dove si trova Falluja a voltare le spalle ai jihadisti – l’attività bellica in tutto Iraq è diminuita, inclusa Falluja.
Il ritiro di tutte le forze americane nel 2011 ha però creato un vuoto di sicurezza dove si è abilmente incuneato lo Stato Islamico. Tra il 2013 ed il 2014 l’Isis ha conquistato vaste aree del territorio iracheno, tra cui Falluja, che è tornata ad essere una delle fortezze del jihadismo. Da più di una settimana, le forze irachene, le milizie shiite al soldo di Teheran, ed i battaglioni kurdi hanno circondano la città e martedì hanno lanciato l’offensiva militare con l’aiuto massiccio delle forze aeree della coalizione.
Così ancora una volta Falluja è sotto assedio.
La risposta dell’Isis all’avanzata delle truppe irachene e di coalizione nel territorio che ha conquistato nel 2013 e 2014 è stata lanciare una nuova ondata di terrorismo in Iraq. Baghdad è stata colpita da una serie di attentati suicidi che hanno colpito ed ucciso centinaia di civili. Secondo il governo iracheno, l’Isis ha utilizzato Falluja quale base strategica per gli attentati, ne segue che la riconquista della città si è resa necessaria per porre fine all’ondata di terrorismo, ma difficilmente ciò avverrà. L’Isis ha abbastanza simpatizzanti a Baghdad e nel triangolo sunnita dove la capitale si trova e probabilmente può sfruttare gli sfollati sunniti quale potenziale riserva di militanti. E vediamo perché.
L’assedio di Falluja, se come previsto avrà successo, distruggerà la città. Come è successo a Kobane ed a Ramadi, l’Isis prima di abbandonare le proprie postazioni urbane le distrugge. Città interamente rase al suole, ecco il bottino dei vincitori, centri urbani che non verranno mai più ricostruiti poiché i costi sono proibitivi e quindi la popolazione sfollata va a riempire le fila dei profughi. L’assedio di Falluja, dunque, sta per creare l’ennesimo disastro umanitario di questa guerra che appare infinita.
A Falluja ci sono ancora circa 50.000 civili, molti non hanno via di fuga anche se gli è stato suggerito dalle truppe irachene di andarsene. L’Isis ha minato strade e palazzi, chi entra come chi esce salterà in aria. Ma il flusso dei rifugiati è già iniziato da settimane.
Il problema dei rifugiati interni, gli sfollati del XXI secolo, è ormai cronico in Iraq, centinaia di migliaia di iracheni sono stati costretti a fuggire dalle loro case, battaglia dopo battaglia. Se l’esercito iracheno tentasse di liberare Mosul dall’Isis, ad esempio, 600.000 di civili si ritroverebbero senza casa e sarebbero sfollati.
Dal 2003, dall’inizio della guerra, l’Iraq è tra i primi dieci paesi al mondo per il numero di sfollati, che sono ormai pari all’11 per cento della sua popolazione di 37 milioni. Nonostante tutto ciò non esiste una politica d’integrazione per gli sfollati, né ci sono abbastanza soldi per ricostruire le città distrutte. I costi della campagna militare ed il crollo del prezzo mondiale del petrolio, da cui il bilancio iracheno dipende, hanno prodotto un deficit di bilancio che potrebbe salire a $17 miliardi entro la fine del 2016. L’attenzione dei politici iracheni, dunque, rimane altrove, focalizzata nella guerra contro l’Isis ed in quella interna per il potere.
A livello di politica interna la lotta del premier Haider al-Abadi per formare un nuovo governo che possa minare il sistema muhasasa delle quote etniche e settarie, è feroce. Ormai non si cerca neppure di mascherare i tentativi di supremazia sciita e discriminazione nei confronti dei sunniti. Nel Kurdistan iracheno (KRI) la situazione non è migliore, l’equilibrio politico è in continuo mutamento: la settimana scorsa l’Unione Patriottica del Kurdistan, il partito dell’ex presidente iracheno, Jalal Talabani, ha concluso un accordo con il partito di opposizione Gorran, per strappare il potere al Partito democratico curdo di Mas’ud Barzani.
Mentre i politici sono concentrati sulle lotte intestine il numero di sfollati interni inevitabilmente aumenterà a seguito della campagna militare di recupero dei territori conquistati dall’Isis. I funzionari e gli operatori umanitari hanno già denunciato le carenze strutturali del paese relative al grado di assorbimento dei nuovi rifugiati. Abbandonati al loro destino costoro saranno facile preda dell’indottrinamento dello Stato islamico. Il vero pericolo, dunque, è che l’Isis trovi tra di loro nuove reclute, specialmente perché nessuno potrà mai tornarsene a casa propria, Baghdad non ha né soldi ne voglia di ricostruire le città sunnite rase al suolo dalle difese del Califfato, ma di tutto ciò naturalmente nessuno ne parla.