Queste elezioni amministrative hanno segnato alcuni elementi importanti.
In primo luogo la prosecuzione di una discesa nella partecipazione al voto che ora veleggia poco al di sopra del 60 per cento. Segno evidente della crisi del sistema politico e della sfiducia popolare nel fatto che la politica possa essere lo strumento attraverso cui risolvere i problemi quotidiani.
Nel voto si verifica una sonora sconfitta del Pd che arretra pesantemente sia dalle percentuali conquistate nelle scorse elezioni europee che dalle scorse elezioni amministrative. Cinque anni fa il Pd vinse al primo turno in dieci città, adesso è quasi sempre al ballottaggio. Si tratta di una sconfitta assai utile perché intacca la narrazione renziana dell’uomo solo al comando che in connessione con il proprio popolo opera per il bene della nazione. Coloro che sono contro il Pd di Renzi sono molti di più di coloro che lo apprezzano e questo apre un varco su cui lavorare in vista del prossimo referendum sulla manomissione della Costituzione. Sul piano strategico questa sconfitta del Pd ci parla di una difficoltà delle classi dominanti neoliberiste a stabilizzare sul piano politico la vittoria che hanno riportato sul piano sociale e della formazione del senso comune. Ci segnala quindi come il terreno politico/democratico sia un terreno di debolezza e non di forza del nostro avversario di classe, un terreno da praticare per scardinare il dominio neoliberista.
In secondo luogo assistiamo a un grande successo del Movimento 5 Stelle che viene percepito come lo strumento più efficace per realizzare il cambio della classe dirigente e dei rappresentanti istituzionali. Nei comuni dove la domanda di cambiamento della classe dirigente è scarsa il M5S ha risultati limitati ma dove la domanda di cambio della classe dirigente è alta o altissima – il caso di Roma – il successo del M5S è grande. Da questo punto di vista gli elementi di ambiguità politica del M5S, lungi dall’essere un ostacolo, accentuano la possibilità di successo trasversale in un contesto in cui il senso comune di massa non coglie l’origine della crisi nelle politiche neoliberiste. Il M5S rappresenta la proposta politica più in sintonia con un corpo sociale che ha colto solo marginalmente le ragioni della crisi e quindi del malessere sociale, colonizzato com’è da decenni di propaganda liberista anticomunista e anticlassista. La ripresa del conflitto di classe, l’individuazione delle cause della crisi nel capitalismo neoliberista e la costruzione di un punto di riferimento chiaro a sinistra, sono condizioni necessarie per catalizzare da sinistra le attese di cambiamento oggi impersonate dai 5 stelle.
Per quanto riguarda la destra è del tutto evidente che ha buoni risultati dove si presenta unita mentre non è in grado di incidere dove si presenta divisa. L’ipotesi di Salvini di poter costruire una destra senza Berlusconi segna una battuta d’arresto perché dove la destra si presenta divisa il bipolarismo si ricrea tra Pd e M5S, lasciando ai margini le destre. E’ quindi presumibile che al fine di riconquistare una centralità politica, e al fine di sfruttare le difficoltà di Renzi, nella prossima fase nel centrodestra si riaprano percorsi di ricomposizione.
Per quanto riguarda Rifondazione comunista e le forze di sinistra, abbiamo risultati assai diversificati che certamente premiano i percorsi unitari chiaramente alternativi al Pd anche se non in misura soddisfacente. In questo contesto di alternativa al Pd, i risultati sono migliori dove l’intreccio tra sinistra e forze civiche è stato più forte e dove il ricambio del personale politico proposto alla carica di sindaco, più netto. La tesi, sostenuta da alcuni, secondo cui i candidati sindaci avrebbero avuto un risultato migliore se provenienti dal Pd, si è rivelata completamente infondata: c’è una difficoltà da parte di chi viene dal Pd o da anni di alleanza col Pd a diventare credibile punto di riferimento per chi subisce la crisi.
Non a caso spicca su tutti il risultato di Luigi de Magistris a Napoli – oltre il 42% – che si accompagna a un buon risultato della lista unitaria della sinistra all’interno della coalizione. Il dato napoletano indica che un’alternativa di sinistra al Pd e alla destra può essere maggioritaria, che si possono coinvolgere in un progetto unitario anche soggettività della sinistra sociale che non parteciparono all’esperienza dell’Altra Europa con Tsipras, che l’unità plurale non è un’impresa impossibile e può produrre risultati molto oltre la sommatoria.
Ottimi i risultati di Caserta e di Brindisi – rispettivamente il 17% e il 14% sui candidati sindaci – per poi scendere al 6,5% di Ravenna fino alle esperienze che hanno collezionato un risultato al di sotto del 2%. Nel contesto generale non possiamo non sottolineare il valore del risultato ottenuto a Milano nonostante Sel facesse parte della coalizione renziana.
Il risultato complessivo, nella sua estrema diversificazione, evidenzia la presenza di uno spazio politico significativo a sinistra del PD ma segnala parimenti come – in assenza di un progetto politico nazionale chiaro e riconoscibile – questo spazio politico è destinato a non essere occupato dalla sinistra. Le elezioni segnalano una potenzialità che per essere realizzata chiede un salto di qualità chiaro in direzione della costruzione di un progetto politico unitario, con un programma e un profilo politico chiaramente e stabilmente alternativo al Pd. I limiti e le insufficienze registrate nel passaggio elettorale ci parlano infatti delle difficoltà dovute al ritardo nel far partire una proposta politica che è tutta da costruire.
Queste elezioni amministrative, con la presentazione in quasi tutte le principali città italiane, di liste unitarie e candidature autonome della sinistra antiliberista rappresentano un piccolo ma significativo passo avanti. Il fatto che la sinistra antiliberista entri dentro le istituzioni sulla base del consenso conquistato autonomamente e in alternativa al Pd è un fatto positivo che non va sottovalutato.