Luca Sardella, che si presenta rusticissimo dalla coppola ai piedi, forse sta tornando tra noi dopo essersi perso in palinsesti sconosciuti. Lo ricordavamo da quando (si era ormai alla fine del secolo) costituiva un pezzo forte della Rai Uno del mattino, tra piantine e pianticelle da sdilinquire un fan delle nature morte. E un po’ lo snobbavamo, come usano quelli che non saprebbero distinguere fra ravanello e ranuncolo.
Ma con tutto il nostro snobismo non ci è sfuggito che l’agronomo (ma anche cantante e paroliere) Sardella ha ricominciato a fare capolino nell’auditel. Certo, per accorgersene ci voleva un occhio diligente, perché il Nostro opera attorno al mezzogiorno del sabato e, per di più su La7 che, quanto a fragranza rustica non si era mai particolarmente distinta. Dapprima ci ha colpito la perentorietà del titolo, Il pollice verde sono io, una specie di “l’etat c’est moi” ai tempi del “green”. Da lì abbiamo cominciato a tenere d’occhio gli share, ma il panorama pareva desolato, con quell’1% che, poco più poco meno, si replicava di settimana in settimana. Finché non si è fatto notare qualche sobbalzo via via più frequente. E così anziché attorno all’1% si è finito col girare attorno al 2% (anzi, l’ultima puntata, ma eravamo ormai nello stanco giugno che attende il calcio europeo) ha concluso in gloria col 3,11%. Insomma, una sardelliana resurrezione che neanche il John Snow del Trono di Spade.
Cos’è cambiato per motivare la maggiore attenzione del pubblico? Le cifre di auditel un suggerimento lo danno: è cresciuta la “fedeltà d’ascolto”. Il che vuol dire che tutti quelli che spinti dallo zapping finiscono a quell’ora su La7 ci si trattengono più di prima perché il programma riesce ad essere abbastanza “narrativo”. Si era partiti a dicembre con la fedeltà al 22,7%, rispetto alla visione “per intero”, e poi è stata tutta una salita: 24,3% a gennaio, 25,6% a febbraio, 28,6% a marzo, 31,2% ad aprile. A parità di coppola, testi e contesti, come si spiega la salita dell’attenzione da parte degli spettatori? Sarà, sospettiamo, per qualche cura nella selezione degli ingredienti e dell’edizione, magari perché gli incastri narrativi sono diventati più accattivanti e più adatti al pubblico di La7 (forse per questo una spinta particolare è venuto dagli spettatori dei ceti “alti e istruiti”, gli stessi, potrà sembrare buffo, che adorano Lilly Gruber).
Insomma, ci pare di intravedere dietro a tutto, oltre al progetto dell’editore di colonizzare spazi di palinsesto prima deserti, anche una qualche tenacia redazionale, di quelle che sono particolarmente utili nella tv di flusso per i programmi costruiti “dall’interno”, che assicurano una specie di “basso continuo” dell’ascolto. Perché la tv più sostanziale si fa giorno per giorno. Come il buon pane, direbbe Sardella.