Le valutazioni professionali dei magistrati impegnati in politica non piacciono ai costituzionalisti. Parola dell’ex presidente della Consulta Valerio Onida, per il quale rappresentano una “anomalia”. Per Gaetano Silvestri, anche lui ex presidente della Corte Costituzionale oltre che successore di Onida alla guida della Scuola superiore della magistratura il meccanismo ha “evidenti criticità”. Netto Massimo Villone, professore di diritto costituzionale alla Federico II di Napoli e già parlamentare di lungo corso: “E’ un sistema davvero discutibile e paradossale: ma gli altri magistrati che sono tutti i giorni alle prese con le aule di giustizia non si arrabbiano?”.
AVANTI TUTTI Il meccanismo di cui si parla è quello oggetto della nostra inchiesta che ha rivelato come un magistrato, una volta entrato in politica possa conseguire ugualmente tutti gli avanzamenti di carriera come se non avesse mai lasciato le aule di giustizia. Un’inchiesta da cui, oltre alle polemiche, è anche scaturita la petizione di Change.org che in pochi giorni ha avuto oltre 30 mila sottoscrizioni.
BRUTTA ANOMALIA E sì, perché se non si può vietare ai magistrati di candidarsi ed essere eletti, il sistema attuale fa anche salva la progressione di carriera (e i conseguenti aumenti di stipendio). “Sarebbe ingiusto penalizzare il magistrato che voglia impegnarsi in politica, ma non è neppure giusto avvantaggiarlo”, piega il costituzionalista Valerio Onida: “mi sembra dunque improprio che il magistrato parlamentare fruisca di progressioni sulla base di valutazioni di professionalità che non possono effettivamente aver luogo, perché l’interessato non sta esercitando la professione: si potrebbe ipotizzare che il magistrato possa recuperare l’anzianità quando e se rientra nei ruoli. Cosa dovrebbe fare, del resto, un magistrato durante il mandato parlamentare per meritare il giudizio negativo che per i magistrati in servizio impedisce la valutazione positiva di professionalità?”. E, ancora, sottolinea Onida: “E’ comunque un’anomalia che il Csm richieda pareri valutativi sui magistrati collocati fuori ruolo ad organi che non hanno titolo a valutarli in rapporto alla loro professione (come i vertici degli organismi di cui il magistrato fuori ruolo fa parte) o a organismi (come il consiglio giudiziario di Roma) che non hanno nulla a che fare col magistrato collocato fuori ruolo. Per i magistrati eletti in Parlamento non vige poi neppure il limite massimo consentito dei dieci anni fuori ruolo che vale per gli altri magistrati”.
PUNTO CRITICO Ma, altra questione delicata, il meccanismo è compatibile con l’articolo 98 della Costituzione che vieta ai pubblici dipendenti di ottenere promozioni durante il mandato parlamentare? “Le valutazioni professionali non danno tecnicamente luogo a promozioni vere e proprie. Poi certo, la questione è problematica”, ammette Gaetano Silvestri. Che aggiunge. “C’è un punto critico e non lo nascondo: la valutazione di professionalità deve essere fatta sull’attività giurisdizionale, mentre qui viene fatta in base all’attività che l’esaminato sta legittimamente facendo come parlamentare. Che però non è di natura giurisdizionale. Questo è il punto critico”, dice Silvestri che sottolinea come l’articolo 98 sia stato comunque pensato “per gli altri dipendenti pubblici”.
INDEBITI VANTAGGI Diverso è il giudizio di Massimo Villone, professore di diritto costituzionale alla Federico II di Napoli e ex senatore dei Democratici di sinistra. “Se per l’articolo 98 forse si può trovare una scappatoia, che dire della compatibilità di questo sistema con l’articolo 3 della Costituzione? Qui c’è un evidente vantaggio per le toghe impegnate in Parlamento rispetto agli altri magistrati che si assumono ogni giorno responsabilità anche giuridicamente rilevanti. Il parlamentare, al massimo, è politicamente responsabile dei propri atti. Mi pare un’attività incomparabile ma il risultato è che, nel caso delle toghe in Parlamento a zero rischi corrispondano uguali vantaggi”, dice Villone sottolineando come si tratti di “un indebito vantaggio basato su valutazioni professionali tecnicamente prive di oggetto”.
OTTIMO CONSIGLIO Insomma, il meccanismo di valutazione qualche problema lo crea eccome. Lo ha evidenziato lo stesso Consiglio superiore della magistratura in un parere all’attenzione della commissione Giustizia della Camera. Specie dopo la riforma dell’ordinamento giudiziario (decreto legislativo 160/2006) che ha radicalmente innovato la disciplina della carriera del personale di magistratura. Abrogando il sistema di progressione per qualifiche – uditore giudiziario, magistrato di tribunale, di appello, di Cassazione ed idoneo alle funzioni direttive giudiziarie – sostituendolo con un percorso professionale unitario ed omogeneo, scandito da valutazioni in ordine alla permanenza dei requisiti di idoneità alla funzione condotte per tutto il corso della carriera, fino al raggiungimento del ventottesimo anno di anzianità, con una periodicità quadriennale costante. “Lo scopo perseguito dal legislatore è stato quello di realizzare un sistema più stringente e puntuale di verifica della adeguatezza professionale dei magistrati articolando valutazioni maggiormente ripetute e frequenti rispetto a quanto previsto dalla legislazione previgente – sottolinea il Csm a quale non sfugge che il sistema va applicato anche ai magistrati fuori ruolo – . Perché “dal conseguimento delle successive valutazioni di professionalità dipende anche la progressione economica della retribuzione percepita dal magistrato – a sua volta organizzata per classi stipendiali –, nonché la valutazione di astratta idoneità ad accedere a particolari funzioni”.
CAMBIARE METODO “I parametri ed i criteri di valutazione sono ovviamente modellati con specifico riferimento alla qualità e quantità dell’attività giudiziaria – spiega ancora Il Csm – . La conseguenza è che per il magistrato in aspettativa a seguito di elezione al Parlamento o in enti territoriali, il Consiglio ha sempre dovuto procedere alla valutazione professionale riferendola all’attività compiuta nella sede diversa da quella giudiziaria in cui ha operato, sulla base delle risultanze offerte dall’autorelazione dell’interessato e delle informazioni fornite dagli Organi rappresentativi dell’ente – Presidenza del ramo del Parlamento. La conseguenza è presto detta: “E’ doveroso segnalare la scarsa compatibilità della valutazione professionale, rigorosamente disciplinata, per procedura, parametri e criteri di giudizio, selezione degli elementi rilevanti e delle fonti di conoscenza, con l’attività condotta dagli stessi presso Organi di rappresentanza o di governo politico ed amministrativo, profondamente eterogenea per contesto, finalità e modalità in quanto espressione di un indirizzo politico non imparziale. Sarebbe, quindi, estremamente opportuno che il legislatore cogliesse l’occasione per adattare la disciplina delle valutazioni di professionalità alle specificità dell’attività politica e di governo esercitata dai magistrati, distinguendola – nel merito e nel metodo – da quella applicabile a coloro che esercitano effettivamente le funzioni giudiziarie”.