Era stata fermata nell’ottobre scorso all’aeroporto di Lisbona proprio in seguito alla condanna definitiva a 4 anni emessa a Milano in relazione al rapimento e aveva presentato appello all’estradizione. Gli eurodeputati in plenaria a Strasburgo: "Autorità italiane sapevano delle torture all'imam"
E’ accusata di aver partecipato al sequestro dell’imam Abu Omar il 17 febbraio del 2003, motivo per cui è stata condannata in contumacia a scontare una pena detentiva di quattro anni. Per questo Sabrina De Sousa, ex agente della Cia, sarà estradata in Italia. E il caso del rapimento dell’imam torna al centro anche a Strasburgo, visto che l’Europarlamento in seduta plenaria chiede alle autorità italiane di “rinunciare” al “segreto di Stato per l’ex capo del Sismi e il suo vice” e “per tre ex membri del Sismi” coinvolti nel rapimento “al fine di assicurare che la giustizia proceda senza ostacoli”.
De Sousa all’Associated press ha detto che attende di sapere con esattezza la data dell’estradizione. La donna era stata fermata nell’ottobre scorso all’aeroporto di Lisbona proprio in seguito alla condanna definitiva emessa a Milano e aveva presentato appello all’estradizione verso l’Italia. Appello che la Corte Suprema portoghese ha respinto ad aprile. Dopo la sentenza a ilfattoquotidiano.it aveva detto: “Hanno paura che io possa ricevere la grazia, che possa andare in Italia, che io possa parlare. Ho saputo dal mio avvocato che nel 2014 io ero stata esclusa dalla grazia“.
E all’Italia si rivolge anche l’Europarlamento, che in una risoluzione sulla relazione del Senato americano sul ricorso alla tortura da parte della Cia chiede la rimozione del segreto di Stato. “Le autorità italiane – si legge nel testo – erano a conoscenza delle torture perpetrate all’imam” e hanno fatto ricorso al segreto “per garantire che ai responsabili fosse concessa l’immunità”. Gli eurodeputati chiedono inoltre “missioni esplorative” negli Stati membri che figurano come complici del programma di detenzione della Cia, tra cui l’Italia. La richiesta di Strasburgo si aggiunge alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2016, che ha condannato l’Italia a un risarcimento.