I giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso del ministero delle Infrastrutture contro un funzionario licenziato perché faceva il doppio lavoro. "Le modifiche apportate" dalla riforma di Renzi, che ha cancellato la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa , "non si estendono" ai lavoratori della pa. L'esperto: "Governo dovrebbe intervenire ma fugge da proprie responsabilità"
Sull’articolo 18 si è creata “una disuguaglianza insostenibile tra pubblico e privato”. E ora per fare chiarezza è indispensabile un intervento delle Sezioni unite della Cassazione o un intervento legislativo ad hoc. Così Aldo Bottini, presidente degli Avvocati giuslavoristi italiani, commenta la sentenza depositata giovedì dalla sezione Lavoro della Suprema Corte, che ha sancito che l’abolizione delle tutele previste dallo Statuto dei lavoratori non riguarda i dipendenti pubblici. Per i quali dunque, in caso di licenziamento illegittimo, continua a valere il diritto alla reintegra nel posto di lavoro, e non la tutela risarcitoria o l’indennità come previsto dal Jobs Act per i dipendenti privati.
La Suprema Corte dà ragione alla Madia… – “Il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla ‘legge Fornero'”, che già nel 2013 ha ristretto le tutele per il lavoratore lasciato a casa, “bensì dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”, scrivono i giudici nella sentenza 11868/2016, aggiungendo che “le modifiche apportate” dalla riforma del governo Renzi – che come è noto ha tra l’altro cancellato la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa – “non si estendono” ai dipendenti della pa “sino al successivo intervento normativo di armonizzazione“. La Corte, che fa sapere di essere arrivata alla nuova sentenza “all’esito di una approfondita e condivisa riflessione“, dà quindi ragione al ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia, che ha sempre sostenuto la non applicabilità ai dipendenti dello Stato e degli enti locali della licenziabilità senza possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro.
…smentendo la propria sentenza del 2015. Giuslavoristi: “Discriminazione” – Il pronunciamento smentisce totalmente quanto sancito dalla stessa Cassazione lo scorso novembre. “Il Collegio ritiene che detto orientamento debba essere disatteso“, scrivono infatti a pagina 6, “giacché plurime ragioni inducono ad escludere che il nuovo regime delle tutele in caso di licenziamento illegittimo possa essere applicato anche ai rapporti di lavoro disciplinati dall’art.2 del d.lgs. n. 165 del 2001”, quello appunto sul lavoro pubblico. Ecco perché, secondo Bottini, “il contrasto andrà chiarito dalle Sezioni unite o da un intervento legislativo di interpretazione autentica, che peraltro il governo aveva annunciato di voler fare fin dallo scorso anno, quando entrò in vigore il Jobs Act ed era in discussione la riforma del pubblico impiego”. Nell’attesa, “sembra chiaro che sopravvivono due regimi diversi, in ambito pubblico e in ambito privato, in materia di licenziamenti. E questa, soprattutto in tempi di regime privatistico del contratto di pubblico impiego, rappresenta una disuguaglianza, una discriminazione non so quanto sostenibile anche da un punto di vista costituzionale”.
Il docente: “La politica non interviene e costringe i giudici a risolvere i problemi” – “Questa sentenza è il trionfo del formalismo giuridico”, chiosa Umberto Romagnoli, professore emerito di diritto del lavoro all’Università di Bologna. “Il testo sostiene che il potere di licenziare della pubblica amministrazione non ha la stessa natura del potere di licenziare dell’imprenditore. L’affermazione lascia quanto meno interdetti. Se questo vale per la questione del licenziamento, allora deve valere per tutte le situazioni. Si determinerebbe una specialità del pubblico impiego che esonderebbe in tutti gli altri ambiti del rapporto di lavoro. Mi sembra una tesi che non ha molto senso. Perché il pubblico impiego dovrebbe essere trattato in modo diverso? Bisognerebbe quanto meno spiegarlo, mettere dei paletti”. A questo punto “sarebbe meglio che intervenisse il ministero della Pubblica amministrazione, ma non lo fa: siamo di fronte all’ennesima fuga dalle proprie responsabilità politiche. I politici si lamentano che i giudici invadono il loro campo, ma sono i politici stessi che lasciano liberi questi spazi e costringono i giudici a intervenire. E’ solo un pretesto per potere attaccare i giudici quando danno fastidio”.
Accolto ricorso del ministero dei Trasporti contro funzionario che faceva il doppio lavoro – Il verdetto della Suprema Corte ha accolto un ricorso del ministero delle Infrastrutture contro un funzionario licenziato perché faceva il doppio lavoro al quale, tuttavia, la Corte d’appello di Roma aveva riconosciuto 6 mesi di indennità risarcitoria, come prevede la legge Fornero nel caso di licenziamenti ‘legittimi’ ma con violazione delle procedure di contestazione disciplinare. Il ministero nel ricorso in Cassazione aveva fatto reclamo contro i sei mesi di risarcimento. Ora il caso torna alla Corte d’appello di Roma.
Nel settore pubblico “generali interessi collettivi” – Il trattamento di favore rispetto a quello che vale per i lavoratori privati, scrivono i giudici, si giustifica proprio perché è diversa la natura del datore di lavoro. Un’eventuale modulazione delle tutele nel pubblico impiego “richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l’impiego privato” poiché, come stabilito dalla Consulta, nel settore pubblico ci sono “garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi“. Gli ermellini ricordano che l’art.97 della Costituzione “impone di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica”. “Se sei dipendente pubblico significa che hai vinto un concorso. Non è che se cambia sindaco allora quello ti licenzia”, aveva chiosato Matteo Renzi a dicembre.
Verso la norma contro i furbetti del cartellino – Proprio mercoledì le Commissione Affari costituzionali e Lavoro della Camera hanno intanto dato parere positivo con tre condizioni al decreto legislativo della riforma Madia che prevede il licenziamento dei dipendenti pubblici “fannulloni“, quelli colti in flagrante nel falsificare la propria presenza al lavoro. I cosiddetti “furbetti del cartellino“, che il governo ha promesso di allontanare “per direttissima” ma che di fatto possono essere licenziati anche sulla base della normativa attuale.