In Svizzera le statistiche rilevano un basso tasso di criminalità, con un numero infinitesimale di omicidi per numero di abitanti. Questa però è soltanto una faccia della medaglia. Le ultime inchieste sulle organizzazioni criminali dimostrano quanto il fenomeno sia in espansione anche nel paese dalle verdi montagne. Dal 2010 a oggi sono ben quattordici le operazioni della magistratura che hanno coinvolto in un modo o nell’altro la Svizzera. In tutto sono quarantuno le persone a vario titolo sono accusate o condannate di legami con le ‘ndrangheta che vivevano in territorio elvetico.
I 13 arresti di Helvetia e la locale di Frauenfeld
Secondo la Polizia federale a essere colpito è soprattutto il Ticino: “La situazione nel Cantone – dove in un’area relativamente piccola vivono esponenti della ’ndrangheta provenienti da zone diverse della Calabria – è più complessa rispetto al resto della Svizzera”. Secondo gli esperti di sicurezza alcune cosche sono attive e ben radicate nella parte italofona già da anni. Il neo procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri alcuni mesi fa aveva contato sei o sette Locali di ‘ndrangheta attive. L’ultima dimostrazione è data dalla più grande operazione antimafia fuori dall’Italia, l’inchiesta Helvetia, coordinata dalla Procura di Reggio Calabria, che nel marzo del 2016 ha portato all’arresto di tredici persone residenti nei cantoni di Turgovia, Zurigo e Vallese. Si tratta di presunti affiliati alla Locale di Frauenfeld, paesino a pochi chilometri da Zurigo, il cuore economico della nazione (nella foto, la costituzione della locale filmata dagli inquirenti in un ristorante).
In un primo filone dell’inchiesta già nel 2014 due persone a capo della Locale elvetica vennero arrestate in Calabria: Antonio Nesci, ritenuto il numero uno, e Raffaele Albanese. Poi condannati in primo grado per associazione mafiosa a 14 e 12 anni di carcere. Rimane da chiedersi perché solo dopo un’anno e mezzo da questi primi arresti le autorità elvetiche hanno proceduto ai tredici fermi. “I tempi delle rogatorie e delle verifiche di polizia rallentano le inchieste”, confermano a ilfattoquotidiano.it dalla Procura federale. La collaborazione tra i due paesi, nonostante sia buona, incappa spesso negli ingranaggi farraginosi degli accordi internazionali. Ma qualcosa si muove. L’8 giugno l’Ufficio di giustizia ha accettato l’estradizione in Italia di Antonio e Francesco Nucera, arrestati nel Canton Vallese nell’operazione Helvetia. Padre e figlio erano stati condannati in contumacia a 9 e 6 anni nel 2014 dal Tribunale di Reggio Calabria per associazione a delinquere. Potranno comunque fare ricorso.
In Ticino i “banchieri” del clan Bellocco
Dopo le maxi-operazioni Crimine e Infinito, che nel 2010 portarono ad oltre trecento arresti nella Penisola e nel mondo (in tutto sette le persone implicate in Svizzera), è seguita l’inchiesta Blue call. Un’operazione che nel novembre 2012 ha inferto un colpo al clan Bellocco attivo nell’hinterland milanese, i cui tentacoli erano ben saldi in Ticino. Due gli arresti in questo caso effettuati su suolo elvetico: i presunti “banchieri” della cosca che tramite un giro di società tra cui la la Blue call srl, azienda specializzata nella gestione di call center, riciclavano i secondo l’accusa i soldi sporchi del clan.
È poi del novembre 2014 l’operazione Insubria che ha colpito nel Comasco con una ventina di arresti. Anche in questo caso un presunto membro del clan, Giuseppe La Rosa detto “Peppe La Mucca”, viveva in Svizzera e più precisamente nel Cantone Grigioni, dove risiedeva con un regolare permesso da due anni. Secondo gli inquirenti italiani intratteneva i contatti con alcune cellule lombarde e la Locale di Frauenfeld. Il Ministero pubblico della Confederazione, dopo un anno e mezzo di inchiesta, ha però deciso di abbandonare l’indagine. In Italia pochi giorni fa lo stesso personaggio è stato condannato a 10 anni di carcere. L’accusa aveva chiesto 16 anni. Il gup, pur confermando il reato associativo e la guida della ‘ndrina, ha escluso l’aggravante della transnazionalità e il reimpiego illecito dei proventi delle attività criminali.
“L’avvocato” e le società fantasma
Era invece soprannominato “l’avvocato” Emanuele Sangiovanni, il 37enne broker romano finito in manette nel marzo 2014 in Italia. Abitava nei pressi di Lugano ed era al centro di una vasta inchiesta denominata Bucalettere. Secondo l’accusa ha partecipato al riciclaggio di milioni di euro del gruppo di Giuseppe Pensabene, arrestato con l’accusa di aver messo su una banca clandestina della ‘ndrangheta in Brianza, con l’utilizzo di società di compravendita di barche e yacht che stipulavano falsi contratti di lavoro, con stipendi elevati, al fine di ottenere permessi di soggiorno.
Quasi un modus operandi dell’organizzazione criminale avere un pied-à-terre nella vicina Svizzera, per sfruttare il sottobosco della finanza. Anche nel processo Aemilia, che nel gennaio 2015 colpisce la cosca Grande Aracri attiva da almeno 30 anni nella regione, figura un ticinese: Sergio Pezzatti, fiduciario originario di Wetzikon e amministratore della Multi Media Corporate, società con sede a Lugano. Pezzatti avrebbe messo a disposizione dei boss conti correnti presso alcune banche elvetiche, utilizzati per un sistema di frodi carosello per evadere l’Iva in Italia. Lo scorso 22 aprile è stato condannato a 5 mesi di carcere. Gli inquirenti non sono riusciti a accertare i legami con l’organizzazione criminale, ma lo hanno ritenuto colpevole di truffa e falsità in documenti.
Il caso Maruccio (Idv) dal Lazio a Chiasso
Un altro metodo per riciclare i proventi illeciti è rappresentato dalle società “bucalettere” che fioriscono in Ticino. Per esempio nell’inchiesta Hydra dell’ottobre del 2015 sono scattate le manette ai polsi di sei persone. E’ finito in carcere anche l’ex capogruppo dell’Italia dei Valori della Regione Lazio Vincenzo Maruccio. Tra i fermi, il figlio del boss Luigi Bevilacqua, Renato, che con il socio Alfredo Bordogna (finito ai domiciliari) aveva aperto società fittizie, tre in tutto quelle con sede in corso San Gottardo a Chiasso, cittadina di confine. In tutto 5 milioni di euro vennero sequestrati tra immobili, conti correnti ed esercizi commerciali disseminati per il mondo, anche sulle spiagge di Miami.
Di pochi giorni fa la condanna in secondo grado di Giuseppe Puglisi, operaio alle Officine ferroviarie di Bellinzona, la capitale del Ticino. Un insospettabile che ogni giorno percorreva gli oltre 50 chilometri dalla provincia di Como verso il luogo di lavoro. Il 53enne, molto religioso, era anche volontario il sabato e la domenica alla Croce Rossa di Cermenate, dove abitava. In primo grado lo scorso maggio gli erano stati inflitti otto anni di carcere. Ora sono saliti a 13. La corte d’Appello lo ha riconosciuto capo della cellula della ‘ndrangheta di Cermenate.
La serie è lunga e con un comune denominatore: tutte le principali inchieste sulla ‘ndrangheta in Ticino e in altre aree della Svizzera sono scaturite dai magistrati dell’antimafia italiana.