Se non fosse ancora in vigore il sequestro penale disposto a dicembre dalla Procura di Lecce, migliaia di ulivi potrebbero essere estirpati nel Salento nel giro di un batter d’occhio. Perché ora lo dice la Corte di Giustizia Ue: “La Commissione può obbligare gli Stati membri a rimuovere tutte le piante potenzialmente infettate da Xylella fastidiosa, ancorché non presentanti sintomi d’infezione, qualora esse si trovino in prossimità delle piante già infettate”. Tradotto: Bruxelles poteva imporre, come ha fatto, il taglio di tutti gli ulivi non solo malati, ma anche di quelli sani ricadenti nel raggio di cento metri dai primi. Cioè, è valida la proporzione per cui, a fronte di un albero su cui è presente il patogeno da quarantena, è necessario fare il deserto nei tre ettari intorno.
La decisione di Lussemburgo era nell’aria, specie dopo la pronuncia, il 12 maggio scorso, dell’avvocato generale della Corte, alle cui conclusioni i giudici si sono adeguati. “Questa misura – è scritto nel loro provvedimento – è proporzionata all’obiettivo di protezione fitosanitaria nell’Unione ed è giustificata dal principio di precauzione, tenuto conto delle prove scientifiche di cui la Commissione disponeva al momento della sua adozione”.
È questo il punto che avevano sollevato 24 agricoltori di Oria e Torchiarolo, in provincia di Brindisi, tra i primi a presentare ricorsi al Tar Lazio per bloccare le ruspe sui propri oliveti. I giudici amministrativi hanno congelato la mannaia e, nel gennaio scorso, hanno deciso di sospendere il giudizio, sollevando sei questioni pregiudiziali dinanzi alla Corte di Giustizia.
Che non sarebbe stata una partita semplice lo si è capito nell’udienza del 4 maggio scorso: anche la Grecia si è schierata contro i contadini salentini, mentre la Regione Puglia ha deciso di non costituirsi affatto al loro fianco. Due giorni prima, poi, la stessa Commissione europea ha fatto sentire il suo fiato sul collo, comunicando che il presidente della Corte di giustizia Ue, “visto il presumibile rischio di danni irreversibili all’ecosistema e all’agricoltura del territorio pugliese che un prolungamento eccessivo della sospensione del giudizio potrebbe produrre”, aveva emesso l’ordinanza in cui disponeva “l’avvio di un procedimento accelerato, come richiesto dal Tar”.
Ora, la decisione cruciale è arrivata: pur non essendo stato scientificamente dimostrato un nesso causale certo tra Xylella e disseccamento rapido dell’olivo, per la Corte “esiste una correlazione significativa tra tale batterio e la patologia di cui soffrono gli ulivi”. E questo basta: il principio di precauzione “può giustificare l’adozione di misure di protezione, come la rimozione delle piante infette, e ciò quand’anche sussistano incertezze scientifiche al riguardo”.
Cosa accadrà adesso? Mezza Puglia, quella a nord, trattiene il fiato: lì è già previsto che gli alberi che risulteranno malati saranno abbattuti e sugli altri limitrofi si riapre la partita. L’altra parte, a sud, torna a tremare, soprattutto la fascia a cavallo tra le province di Lecce e Brindisi. Solo nel piccolo comune di Torchiarolo, a fronte di 40 ulivi certificati come contagiati, dovrebbero essere estirpati 120 ettari.
La Procura di Lecce sta valutando se continuare a mantere in piedi il sequestro oppure se revocarlo, perché sia la politica ad assumersi la responsabilità di decidere. Ad oggi, infatti, i sigilli sono stati conservati poiché le ordinanze di abbattimento di circa 3mila ulivi emanate dall’ex commissario straordinario Giuseppe Silletti non sono mai state stralciate da Bari e dunque sono pronte a tornare in auge. Anche nel nuovo Piano post emergenza varato due mesi fa dalla Regione Puglia si afferma che i tagli non sono possibili a causa dell’alt imposto dai pm Cataldo Motta, Valeria Mignone e Roberta Licci.
Ecco perché il governatore Michele Emiliano dovrà prendere una decisione: modellare il nuovo piano anti Xylella alla decisione di Lussemburgo e disporre le nuove estirpazioni oppure sfidare l’Ue, mantenendo la barra ferma e costringendo di fatto l’Italia ad andare incontro alla procedura d’infrazione comunitaria, il cui procedimento è già in corso.