A che punto siamo con l’Aids? Quello che sappiamo di certo è che a livello globale, le donne e in particolare le giovani, ovvero di età compresa tra i 15 e i 24 anni, sono le più vulnerabili all’Hiv, con tassi di infezione due volte più alti di quelli dei coetanei maschi. Attualmente, nei paesi a basso e medio reddito, sono più di 7000 le ragazze che si ammalano ogni settimana e il virus è per le donne in età riproduttiva (14 – 49 anni) la principale causa di morte.

Le donne costituiscono quindi una grossa percentuale delle persone affette da Hiv/Aids. Vediamo il perché più a fondo. Innanzitutto dobbiamo ricordare che in diverse società la disuguaglianza di genere, la discriminazione istituzionalizzata nei confronti di chi è più vulnerabile e contesti giuridici che puniscono comportamenti considerati fuori dalla “norma”, sono fattori che favoriscono la diffusione dell‘epidemia. Le donne e le ragazze vivono in moltissimi paesi la cosiddetta doppia discriminazione, di genere e classe, nonché lo stigma se ammalate, che le rende particolarmente vulnerabili.

Nel concreto questo avviene attraverso il mancato o negato accesso alle informazioni e ai servizi necessari per la salute, in particolare quella sessuale e riproduttiva, che comprende anche la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili. Inoltre, la diffusa violenza di genere e l’Hiv/Aids sono strettamente collegati: stupri, sfruttamento sessuale e pratiche dannose, quali matrimoni forzati e/o precoci e le mutilazioni genitali femminili, sono alcune delle cause possibili. Infine, l’impossibilità di donne e ragazze di ricevere un’educazione sessuale completa per imparare a conoscere il proprio corpo, a proteggersi e scegliere ciò che si vuole e ciò che non si vuole, è un’ulteriore aggravante.

Parlare di discriminazione di genere e Aids non vuol dire però parlare solo di paesi lontani dal nostro, sappiamo bene che il fenomeno è globale e che si aggrava lì dove ci sono povertà e mancanza di diritti. Non è un caso che la nuova Agenda di sviluppo che ci accompagnerà fino al 2030 e i relativi obiettivi di sviluppo sostenibili siano universali, in un mondo in crisi ed emergenza costante diversi fenomeni riguardano l’intero pianeta, nessuno è escluso. Tutti i paesi dovranno lavorare al raggiungimento dei nuovi obiettivi, tra cui rientrano la parità di genere e l’accesso alla salute. In quest’ottica e conseguente quadro di lavoro è stato riaffermato l’impegno a contrastare le pandemie più gravi, come Aids/Hiv, malaria e tubercolosi. Per porre fine alle quali è necessario eliminare le disuguaglianze nell’accesso alle cure sanitarie e assicurare la copertura sanitaria universale.

Tra gli attori principali di questi ultimi anni nella lotta alle pandemie c’è sicuramente il Fondo Globale, uno dei primi partenariati a coinvolgere governi, istituzioni, società civile. Il Fondo dal 2002, anno della sua costituzione, ha ricevuto contributi da donatori di diverso tipo, la maggior parte dei quali proviene dai governi di 50 paesi. Fino al 2008 l’Italia è stata uno dei paesi più attivi e uno dei maggiori contribuenti, assumendo anche un ruolo guida; ma dal 2009 non ha più mantenuto gli impegni presi creando un ammanco di 260 milioni di euro. Alla terza conferenza di rifinanziamento, dove i donatori hanno dichiarato i propri impegni per il periodo 2011 – 2013, l’Italia non ha annunciato alcun contributo, perdendo il seggio unico al consiglio di amministrazione, per condividerne uno con la Spagna.

Alla seguente conferenza è stato annunciato il rientro tra i finanziatori con un impegno, per gli anni 2014 – 2016, pari a 1000 milioni di euro; le prime due quote sono state versate ma si spera che vi sia una continuità. La necessità che il nostro paese continui a dare il suo importante contributo è la richiesta dell’Osservatorio italiano sull’azione globale contro l’Aids che rappresentando la società civile monitora l’effettivo impegno del nostro governo e che il 14 giugno presenterà un documento, Il Fondo Globale: un’opportunità per l’Italia, una risorsa per le future generazioni, presso la Camera dei deputati.

L’Osservatorio, una rete composta da 13 Ong, di cui fa parte anche Aidos lavora da anni sul favorire il confronto, l’informazione, la produzione analisi, il monitoraggio sugli interventi di lotta contro il virus, sopratutto nei cosiddetti Paesi del sud del mondo. Come rappresentate della società civile l’Osservatorio raccoglie l’esperienza sul campo delle diverse Ong ma al tempo stesso dimostra da tempo col suo lavoro come serva una sinergia tra istituzioni e associazioni. Il documento che verrà presentato è uno strumento di lavoro per gli addetti ai lavori ma è anche un documento importante per chiunque voglia essere aggiornato sull’argomento e avere dati a disposizione.

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