Carlo Conti è il nuovo direttore artistico di RadioRai. Il senso della nomina ci sembra quello di integrare funzionalmente il rapporto fra la radio e la tv generalista gestita dalla Rai. Una mossa di “integrazione“, in buona sostanza, coerente con l’idea di progettazione multimediale alla quale l’attuale gruppo dirigente del Servizio Pubblico ha legato la propria identità. È del tutto ovvio infatti che Carlo Conti disporrà di domini sui quali, come per il multicontinentale impero di Carlo V non tramontava mai il sole, così accadrà per l’audience, rastrellata e incalzata senza scampo mentre sonnecchia sul divano di casa, mentre guida l’automobile e financo quando smanetta con lo smartphone tra auricolari e flussi di post, commenti, tweet e “mi piace” in quantità.
L’uomo che già si trova al centro dell’intrattenimento televisivo, fra Sanremo, prime serate e access prime time gestirà così una specie di sistema planetario dove la tv generalista prende il posto della stella e le altre piattaforme svolgono il ruolo dei pianeti, tutti tenuti insieme dalla medesima forza gravitazionale dei volti dello star system, degli ospiti, degli artisti, degli autori. Per non parlare del programmatico rilancio e reciproco richiamo fra l’uno e l’altro mezzo. Si tratta, per inciso, una mossa piuttosto sfidante nei confronti degli altri attori del mondo multimediale, perché la Rai in questo modo mette in campo l’integrazione fra radio e tv, che finora erano separate in casa. Insomma, se negli anni scorsi per la Rai “essere aggressiva” significava vendere gli spot con lo sconto, stavolta sembra di intravedere la prospettiva di un rafforzamento strutturale dei numeri, della qualità e dell’articolazione dell’audience che verrà offerta agli investitori pubblicitari. Come a dire che, mentre sono in preparazione provvedimenti di legge, regolamenti e contratti di servizio che potrebbero alleggerire la presa della Rai sul mercato pubblicitario (in cambio, è ragionevole supporre, di un aumentato finanziamento pubblico grazie al canone in bolletta), la Rai bada intanto ad affilare le armi. A riporle nel fodero ci sarà tempo, modo e negoziato per capire quanto e come.
Impossibile non notare infine che portando la radio a orbitare attorno alla tv, viene compiuto anche un passo (o passetto) verso il superamento della “organizzazione lottizzabile”. Questa creatura degli anni ’70 trovava la sua essenza nelle canne d’organo, e cioè nella esistenza di direzioni editoriali auto gestite da responsabili nominati da questo o quel partito sulla base dei rapporti di forza nel Governo, in Parlamento e nel Paese. Nessuno dice di rimpiangerla quella organizzazione, ma sul Cavallo, in Parlamento, nelle assemblee regionali e financo nelle redazioni dei giornali sono moltissimi, quasi tutti, a sperare che resista. Perché in quel bailamme di lottizzati chiunque poteva dire di avere un amico. Ne siamo fuori? Non ancora: manca la – peraltro annunciata – riorganizzazione dei TG, il cuore della lottizzazione, ammesso che ne abbia uno. Non resta che attendere.