Fare domande a Pino Scotto sullo sgomento pascaliano dell’uomo perduto fra le stelle forse potrà sembrare ingenuo; l’uomo Scotto, già nel suo cognome, evoca qualcosa che brucia ed è pericoloso, magari è proprio un pino a bruciare nella notte, a illuminare il nostro perimetro d’angoscia, le nostre paure umane, così umane, senza il “troppo” nietzschiano. Trovandomi in questo studio radiofonico, ho avuto la sensazione di essere sopra un’astronave, magari il Millennium Falcon di Han Solo, un’astronave scalcagnata ma con la possibilità di viaggiare nell’iperspazio.
Non sono un appassionato di questo genere di musica, anche se ne riconosco la stridente vitalità, e la carica eversiva, l’heavy metal non fa per me, al metallo pesante preferisco la leggerezza di una piuma mozartiana o il jazz caldo che mi riscalda il sangue. E non sono nemmeno un fanatico delle invettive, ma a Pino Scotto riconosco una genuina rabbia civile, e una energia travolgente, comunicativa. E mi sono innamorato dei riflessi verdi sulla sua chioma fluente, avrei quasi voluto accarezzare quei capelli così fini e lunghi, ma, conscio del pericolo di un calcio nel sedere, ho optato per una “videocarezza”.
Quando riprendo una persona famosa cerco sempre di farla vedere sotto una luce diversa, credo di esserci riuscito con il primo videoritratto che ho postato su questo blog, ma anche con questo secondo film, che tra l’altro è il mio preferito fra i due. Sono entrato in contatto con Pino Scotto grazie a mio cugino Daniele Farina, regista dei suoi video musicali. Non ci può essere nulla di più distante tra me e Pino Scotto sul piano della personalità e della vita vissuta, ma a volte la distanza consente quel distacco necessario per avere uno sguardo puro, e purificato da ogni giudizio, come sempre mi accade, perché quando filmo non giudico mai, mi metto semplicemente in ascolto.