Visto che mi è stato chiesto da più parti di esprimere un parere sulla questione dei rifiuti a Roma (e nel Lazio), vorrei provarci, non con la presunzione di possedere la verità, ma sulla base di un’esperienza diretta, derivante da quasi 20 anni di lavoro sul campo. Peraltro, da un anno e mezzo sono l’amministratore unico dell’azienda pubblica di servizi ambientali di Formia e ho avuto modo di conoscere e approfondire ancora meglio il settore nel contesto laziale. Mentre negli anni, prima con il Comune e poi con la Provincia di Roma, ho potuto fare esperienza diretta anche della gestione dei rifiuti a Roma, in particolare gestendo l’attivazione della raccolta differenziata nei quartieri di Colli Aniene, Decima e Massimina e poi l’attivazione in numerosissimi comuni della provincia.
Erano gli ultimi anni della giunta Veltroni e il successo del “porta a porta” fu travolgente. Nel primo quartiere, Colli Aniene, superammo il 65% di raccolta differenziata. Con Alemanno tutto questo si fermò e, nonostante speranze e promesse, l’amministrazione si concentrò sulla sostituzione dei vecchi contenitori che i romani chiamano “secchioni” con altri nuovi, studiati apposta per Roma, ma che avevano solo un nuovo look ma nessun elemento innovativo per la Rd. Con il sindaco Marino, i sistemi avanzati di raccolta differenziata ripresero piede e, pur con molti errori tecnici e strategici, furono estesi su parte della città. Il merito grande di Marino fu di chiudere la discarica di Malagrotta che da decenni accoglieva i rifiuti romani.
Un merito ma anche un limite, in quanto non fu realizzato nulla in sostituzione e quindi fece precipitare la città (e la regione) in una fase di “quasi emergenza rifiuti”. Nei mesi scorsi il problema era sotto i riflettori anche per la mobilitazione di persone note come Alessandro Gassman e l’iniziativa #Romasonoio che spronava i romani a occuparsi in prima persona della propria città e della sua pulizia. Ora, per come la vedo io, sono tre sono le questioni cui occorre trovare risposta: cosa sia questa “quasi emergenza”, su quali siano i rischi e quali le possibilità di uscirne.
La quasi emergenza rifiuti
La chiusura di Malagrotta da un giorno all’altro ha determinato un forte aumento delle tariffe di smaltimento, pesando in modo molto rilevante sul bilancio della città di Roma. Il problema però non è solo economico, i rifiuti di Roma impegnano moltissimo gli impianti della regione (perlopiù discariche) e, in alcuni casi, di regioni limitrofe. La definisco “quasi emergenza rifiuti” perché, nei primi mesi, i romani hanno visto peggiorare il decoro della città proprio a causa della difficoltà a conferire i rifiuti in impianti lontani. I rischi di ulteriore peggioramento sono dietro l’angolo.
I rischi per il futuro
Il rischio che Roma e il Lazio corrono nei prossimi mesi ed anni è che la situazione rimanga in bilico, con impianti distanti centinaia di chilometri, con costi colossali e con un sistema rifiuti nel quale un qualunque impedimento potrebbe lasciare rifiuti a terra. Un rischio estremo poi è che gli impianti (perlopiù discariche) che stanno ospitando i rifiuti di Roma vadano via via esaurendosi e che facciano precipitare l’intera regione in una situazione di emergenza vera e propria.
Le prospettive per uscirne
Il tema rifiuti è uno dei più importanti per la nuova amministrazione capitolina. A mio avviso occorre muoversi su tre direttrici concrete e una ideale. Da un punto di vista pratico, penso, prima di tutto, allo sviluppo della Rd che i due Marino, il sindaco Ignazio e l’assessora all’Ambiente Estella, svilupparono su una parte della città, proseguendo nell’estensione di modelli virtuosi e nella correzione degli errori commessi. In secondo luogo, occorre investire subito ed efficacemente sull’impiantistica per il riciclaggio, soprattutto per ciò che riguarda il compostaggio. Il Lazio è infatti drammaticamente carente di impianti di compostaggio, cioè impianti che trasformano la raccolta differenziata dell’umido in compost. La terza è relativa alla azienda deputata alla gestione dei rifiuti, l’Ama, gravata da molteplici problemi.
Qualcuno ha pensato di risolverli con le esternalizzazioni, invocando il minor costo del lavoro ma poi ci si è trovati dentro Mafia Capitale. Peggio sarebbero le privatizzazioni. Ritengo invece che la gestione pubblica sia la migliore per Roma, così come per altre grandi città italiane; occorre però ridiscutere struttura e dimensioni anche attraverso un ruolo più protagonista dei municipi e dei territori per impostare servizi condivisi. Occorre aumentare la trasparenza e partecipazione popolare, aprire la gestione ai comitati e alle associazioni, rilanciare educazione ambientale e civica. La sfida è la differenziata ma anche il decoro. Nelle periferie bisogna portare il porta a porta ma anche le spazzatrici e le lavastrade.
La prospettiva ideale pone invece un nuovo punto di vista: la crisi economica che abbiamo attraversato non è passeggera, è anzi una crisi costituente dalla quale usciremo cambiati. L’economia di domani sarà solo o principalmente economia “verde”, cioè un’economia che dovrà essere legata alla valorizzazione del territorio e delle sue risorse: penso a turismo, agroalimentare, energie rinnovabili, e a un approccio sistemico e alla cosiddetta “economia circolare”. Su ognuno di questi temi e sui molti che da questi si sviluppano sarà opportuno lavorare per una corretta gestione ambientale a Roma. La nuova amministrazione si trova davanti a una sfida decisiva e strategica che richiede però un necessario cambio di paradigma rispetto ai modelli di gestione ambientale cui siamo abituati: forse Roma non deve “tornare a essere Roma”, ma deve “diventare” (una nuova) Roma.