Da quando è iniziata la serrata contro i flussi migratori messa in atto da diversi paesi Ue, gli ordini per la ditta spagnola sono decuplicati. Il miglior cliente per il momento è l'Ungheria di Orban che ha commissionato e istallato 176 chilometri di recinzioni. Ma le reti sono sotto accusa da parte dell'Onu per la loro pericolosità
Reti, recinti e fili spinati. C’è chi fa affari d’oro con la serrata anti-immigrati messa in atto da diversi paesi del Vecchio continente: è la European Security Fencing (Esf), del Gruppo Mora Salazar (nato nel 1975), con sede a Malaga, sulla Costa del Sol.
Dall’Ungheria alla Grecia, dalla Serbia alla Macedonia, dalla Polonia alla Romania, dal Marocco alla Turchia, passando per Ceuta e Melilla, i fili spinati sul territorio europeo hanno tutti un unico commissionario, l’Esf. Sul sito web la stessa ditta spagnola si definisce l’unica in grado di costruire fili di lamine di acciaio inox in tutta Europa. Le cosiddette concertinas.
“Specialisti nella fabbricazione di elementi di alta sicurezza passiva”, è il motto che campeggia sulla home page del sito. E gli affari sono andati così bene che di recente hanno pure aperto una filiale a Berlino. La società offre i suoi servizi a oltre 20 Paesi, europei e non. Tra i suoi clienti ci sono i ministeri degli Interni e della Difesa iberici, la compagnia petrolifera Repsol ma anche la Nato. Capaci di fabbricare 10 chilometri al giorno, propongono ogni tipo di rete metallica: “Una vasta gamma di elementi di sicurezza passiva composti da fili spinati a lamina, recinzioni elettrificate, dispiegamento di barriere, dissuasori anti arrampicata e accessori per l’installazione”.
La speranza per migliaia di profughi di superare i confini ungheresi, ad esempio, s’è infranta davanti a un filo spinato spagnolo commissionato dal presidente Viktor Orbán: 175 chilometri di rete metallica dispiegati lungo la frontiera con la Serbia.
Un grande affare per la ditta che, proprio mentre i camion dall’Andalusia partivano alla volta dell’Europa dell’Est, aveva diffuso un festoso tweet: “Da qui al resto d’Europa! Il 100 per cento del filo spinato in Europa proviene dalla nostra fabbrica”. Allora sui social piovvero una valanga di insulti e la ditta fu costretta a chiudere tutti i suoi account. Il modello dentato scelto per la frontiera ungherese è stato lo stesso che tutt’ora s’innalza sul confine iberico di Ceuta e Melilla per impedire il passaggio degli immigrati del Nord Africa, il modello 22. Non è il peggiore delle dieci tipologie che la ditta può offrire ai suoi clienti, ma è classificato per “livelli di sicurezza medio alti”. Le lame, in questo caso, circa 22 millimetri di lunghezza per 15 di larghezza, sono all’origine della polemica con molte organizzazioni internazionali, compresa l’agenzia Onu per i rifugiati, sulla loro pericolosità per le persone.
L’ultima morte attestata per diretta conseguenza delle lame Esf è stata nel 2009, quando un senegalese è morto dissanguato lungo la linea di confine di Ceuta. Oggi difficilmente la ditta andalusa si sbottona. Il business continua a crescere senza sosta, ma dopo le ultime critiche preferiscono non parlare. Entro l’estate la Bulgaria poserà 146 chilometri di filo spinato lungo il confine con la Turchia, con lo scopo di prevenire l’ingresso illegale di migranti. Lo ha annunciato il ministro degli Interni, Rumyana Bachvarova, a fine maggio.
Probabile che anche questa recinzione arriverà dalla Spagna, ma la risposta dell’azienda iberica è a dir poco laconica: “Per politica di riservatezza non possiamo fornire le informazioni richieste. I nostri clienti fanno gli ordini, ma non sappiamo il loro uso finale”