La legge n.220/2015, fortemente voluta dal governo Renzi, modifica la governance della Rai assegnando – secondo il principio ora in voga per cui la governabilità va premiata a scapito della rappresentatività – all’amministratore delegato, nominato dal governo stesso, pieni poteri sull’azienda, azzerando quelli del consiglio di amministrazione, consiglio che è sempre stato espressione delle diverse forze politiche. La rappresentatività al vertice si è quindi attenuata e vi è la concreta possibilità che si perda anche nelle strutture operative, ossia le reti e le testate. Un pensiero unico governerà la Rai? I rischi ci sono, ma c’è anche la possibilità di rivedere alla radice l’informazione pubblica, che certo non brilla per equilibrio e qualità di approfondimento.
Nel vecchio sistema vigeva la regola della cosiddetta “lottizzazione”, basata nell’assegnare il Tg1 (e la rete corrispondente) all’area d’influenza del governo, il Tg2 all’area che gravitava intorno allo schieramento di centrodestra, mentre il Tg3 è sempre stato appannaggio dello schieramento di centrosinistra. Il pluralismo era garantito solo a parole, nel senso che si basava sull’offerta di tante parzialità, arrivando a essere una somma delle varie faziosità. Questo metodo ha, nel contempo, permesso che una certa libertà dell’informazione potesse esistere anche in situazioni politicamente molto conflittuali, garantendo spazi anche all’opposizione.
Durante i governi Berlusconi, il clima in Rai è stato piuttosto pesante, soprattutto a causa del suo conflitto d’interessi come padrone di Mediaset. Le forzature sull’informazione sono state molto stringenti. In quel periodo entrarono però in gioco diversi anticorpi, come, per esempio, il fatto che il consiglio di amministrazione fosse espressione di tutte le forze politiche (s’introdusse anche la figura del presidente di garanzia, di appannaggio dell’opposizione). Va anche ricordato che alcuni presidenti della Repubblica intervennero varie volte a sollecitare un maggiore equilibrio nell’informazione della Rai, e che il famoso “partito-Rai” (composto dalle varie professionalità interne) fece muro nella difesa della propria azienda a fronte dei danni subìti dal conflitto d’interessi.
Ritengo che nessuno rimpianga il vecchio criterio della lottizzazione, ma è necessario però ridefinire un nuovo metodo più garantista ed efficace. L’altra faccia del pluralismo è l’obiettività. L’informazione obiettiva e completa è il valore cui dovrebbe tendere il servizio pubblico (il riferimento è rivolto in particolare al Tg1, il più seguito). Obiettività che non implica l’annullamento o la sintesi delle opinioni, è l’informazione equidistante, neutrale. È la rappresentazione dei fatti, l’approfondimento che evidenzi tutte le opinioni in campo evitando di offrire verità precostituite.
Sarà possibile arrivare a questi traguardi? C’è il rischio, in effetti, di andare addirittura indietro rispetto alla vecchia lottizzazione, visti i nuovi criteri di nomina del vertice, ma ci sono anche le condizioni per intraprendere il nuovo percorso dell’informazione pubblica che renderebbe il Paese più libero. Conforta che ai vertici della Rai, anche fra i nuovi nominati, vi siano manager capaci e desiderosi di distinguersi: chissà che non ci possano sorprendere positivamente. Semmai ci si dovrebbe chiedere se gli operatori dell’informazione Rai, giornalisti e autori, siano all’altezza per affrontare con successo questa piccola rivoluzione.