C’è anche una questione cattolica nello smottamento elettorale del Pd di Matteo Renzi. E’ il rifiuto di segmenti del cattolicesimo democratico e sociale nei confronti di una gestione politica percepita come prepotentemente dissonante rispetto ai propri valori e modi di agire. E’ l’insofferenza di gente comune formatasi alla lezione di De Gasperi e Moro, nella pratica sociale del sindacato e di molta parte dell’associazionismo bianco o in occasione di appuntamenti come il referendum sull’acqua, che ha visto una larghissima partecipazione di gruppi cattolici locali. Stessi elettori si sono spesso ritrovati sul referendum per le trivelle.
Non va dimenticato che il mondo cattolico nell’estrema varietà delle sue sigle è quasi l’unico spazio pubblico, in cui ci si riunisca regolarmente per discutere e riflettere sul rapporto tra società e i propri valori religiosamente ispirati.
C’è una premessa da fare. Il “popolo cattolico” come blocco elettorale non c’è più da oltre un ventennio (e comunque il monolitismo non è mai esistito). E c’è da aggiungere che anche nell’area cattolica genericamente di sinistra ci sono pezzi convertitisi al renzismo.
Dunque qui si parla di segmenti, che compongono un mosaico elettorale affidato alle opinioni dei singoli, al loro sentire culturale, al loro vissuto quotidiano in cui – lontano dalla ribalta mediatica – si manifesta l’adesione silenziosa a valori guida e un certo modo di concepire lo Stato. Queste realtà molecolari sono fatte da uomini e donne, famiglie e single attenti alla politica e alla partecipazione, non qualunquisti, che non amano leadership urlate e soprattutto sono impregnate del concetto di “bene comune”, convergendo su alcuni temi chiave agitati da papa Francesco su povertà, degrado sociale e ambientale, precariato, contrasto all’illegalità.
Queste molecole cattoliche (e in queste elezioni le singole migliaia di voti in un senso o nell’altro contano assai) hanno un sentimento riformatore e di sinistra e per molti anni hanno avuto per riferimento il Pd. Ora si staccano per un disagio cresciuto gradualmente nell’ultimo triennio.
Hanno introiettato da sempre il valore della Costituzione italiana, non perché sia poeticamente la “più bella del mondo”, ma per il suo equilibrio tra poteri diversi, il suo contemperare un intreccio di motivi ideali e sociali, il suo sforzo di dare rappresentanza al Paese. Sentire definire “archeologi travestiti da costituzionalisti” presidenti stimati della Corte costituzionale, di cui molti cattolici, urta la sensibilità di questo elettorato. Vedere depotenziato drasticamente il parlamento attraverso diktat di super-canguri e un premio a chi maggioranza non è (perché il 40 per cento non può comandare alla rappresentanza del 60 per cento) disorienta questi elettori di formazione cattolico-democratica.
Vedere l’esibito disinteresse del premier Renzi per la documentazione prodotta dalla commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi già soltanto su un piccolo campionario delle candidature di queste elezioni – espressione di una palese indecenza politica e noncuranza per la legalità, cui il Pd e altri partiti danno silenziosa copertura – provoca un forte disagio in questi elettori.
Così come la sprezzante condotta del premier nell’ignorare il ruolo dei corpi intermedi, a cominciare dal sindacato. Fa parte di una tradizione cattolica radicata proprio la convinzione che oltre al parlamento, la società moderna abbia bisogno di organismi di rappresentanza degli interessi sociali, capaci di farsi ascoltare dalle istituzioni.
Proprio la cultura cattolica dell’ascolto è totalmente assente nella gestione renziana. Quando il premier-capo del Pd va dagli scout e dice che “spesso la politica parla, parla e non ascolta”, afferma una cosa che non ha mai praticato nelle grandi questioni di questi anni. Sarebbe sbagliato credere che una certa parte di elettorato cattolico possa soffrire impunemente l’assenza di qualsivoglia radice culturale, che caratterizza la leadership renzista. La sensibilità scout certamente manca. A partire da un linguaggio gangsteristico tipo “entrerò con il lanciafiamme”, frase che il premier ha rivolto alle correnti di minoranza del partito subito dopo le elezioni dello scorso 5 giugno.
Egualmente assente è il richiamo fecondo ai filoni contemporanei del pensiero cattolico. (Per non parlare degli input sociali forniti dagli ultimi papi, da Giovanni Paolo II a Francesco). Quando la Boschi dichiara “tra Fanfani e Berlinguer, preferisco Fanfani”, risulta evidente dal suo agire in politica che non ha la minima idea né dell’uno né dell’altro.
Ciò che, tuttavia, maggiormente allontana dal Pd odierno molti ambienti cattolici immersi nel quotidiano, è la disattenzione profonda per il vissuto reale di milioni di famiglie, che il Codacons descrive “da Terzo mondo”. Non si tratta qui di elargire qualche bonus o accordare un taglio fiscale (cose sempre benvenute) ma l’esaltato oblio leopoldino per i milioni di poveri assoluti, per i milioni di impoveriti che si reggono appena a galla, per l’effetto drammatico dei tagli lineari a scuola e assistenza sanitaria sulla vita spicciola delle famiglie, produce un malumore sotterraneo.
Gli undici milioni di italiani costretti a rinunciare alle cure mediche nel 2015 non compaiono mai sugli schermi della roboante comunicazione renziana. E soprattutto pesa il sostanziale non-intervento di Renzi sulla precarietà sistematica che affligge milioni di giovani, sfruttati con contratti a tempo determinato fuori da ogni controllo, con l’uso distorsivo dei voucher (al di là della tracciabilità), con l’arrogante imposizione di lavoro falsamente a partita Iva. Dietro ogni giovane, che annaspa, ci sono padri e madri, nonni e zii che li devono sostenere e sono stanchi di slogan, convinti che il capo del Pd non faccia nulla per voltare pagina e aiutare realmente i giovani e le famiglie. Molecole diffuse nella società, molecole che votano.