Nel 2015 accetta la “retrocessione” ad assessore regionale pur di stare vicino alla sua Calabria, ma una volta appreso che in giunta c'è un collega dem sfiorato da un'indagine per voto di scambio, rifiuta l'incarico e si dimette anche dal dicastero degli Affari regionali. “Il segretario usi il lanciafiamme per imporre la questione morale nel partito”
Capita anche che un ex ministro torni a lavorare. Succede a Monasterace, nel cuore della Locride, quel pezzetto di provincia di Reggio Calabria stretta fra l’Aspromonte e il mar Jonio conosciuto come una delle zone a più alta densità mafiosa del mondo. Lì, in centro affacciata sulla litoranea, c’è una farmacia dove dietro al bancone, in camice bianco, c’è Maria Carmela Lanzetta, ex titolare del dicastero per gli Affari regionali dell’attuale governo.
Capita anche che una delle persone più esposte nella lotta alla criminalità organizzata venga prima allontanata, poi isolata e infine dimenticata dal proprio partito: quel Pd al cui interno il segretario Matteo Renzi pur ammettendo l’esistenza di “una questione morale”, lascia per strada chi della battaglia per la legalità ha fatto la sua ragione di vita e ne paga ancora il prezzo.
LA VITA SOTTO SCORTA E LE MINACCE DEI CLAN
Davanti alla farmacia c’è posteggiata una Lancia Thesis blindata, lo stesso modello che ha salvato la vita a Roberto Antoci, il presidente del parco dei Nebrodi vittima di un recente agguato mafioso in Sicilia. Dentro al negozio, seduto su una sedia da cui si può vedere l’ingresso, un carabiniere in borghese fa finta di leggere una rivista. Nel marsupio, messo a tracolla sul petto, la sua arma di ordinanza è carica.
I locali sono stati completamente rinnovati nel 2011 quando un incendio doloso distrusse ogni cosa. Ai tempi la Lanzetta era sindaco del paese e l’attentato voleva essere un messaggio della ‘ndrangheta nel confronti di un’amministrazione che aveva deciso di non chinare la testa di fronte allo strapotere della cosca Ruga.
“Molti cittadini mi chiamano e mi vengono a cercare in farmacia solo per stringermi la mano e non nascondo che ogni volta mi vengono le lacrime agli occhi”, racconta mentre si leva il camice. “Vi offro una cosa da bere, ma non al bar qui di fianco, perché a quest’ora, ogni giorno, da quando è stato scarcerato l’anziano boss del paese viene a prendere il caffè”. Meglio salire nell’appartamento di famiglia al secondo piano dello stesso palazzo del negozio. Ci si accede da una porta sul retro che dà direttamente sulle scale. Lei ha scelto di vivere lì, insieme ai suoi genitori, anche per limitare i suoi movimenti in modo da rendere più facile il lavoro degli agenti deputati alla sua sicurezza.
Distante anni luce dai politici di professione, Maria Carmela Lanzetta è anche quanto di più lontano si possa immaginare dallo stereotipo delle icone antimafia, quelle che, gettata la maschera della legalità, stanno finendo nella polvere una dietro l’altra. A iniziare dalla spasmodica ricerca di visibilità. Da “ministro invisibile”, come è stata bollata dal Movimento 5 Stelle, a inizio 2015 ha accettato di buon grado la retrocessione alla carica di assessore regionale pur di stare più vicina alla sua Calabria, ma, una volta appreso che in giunta figurava un esponente del Pd sfiorato da un’indagine per voto di scambio, ha rifiutato l’incarico dimettendosi contestualmente anche dal ministero.
LE DIMISSIONI DA MINISTRO E LA RINUNCIA A ENTRARE IN GIUNTA
Il tutto si è consumato in sole 24 ore e per la prima volta Lanzetta ricostruisce cosa è successo: “Ho appreso della mia nomination nella giunta calabrese dai giornali. A quel punto, molto stupita, chiamo prima Graziano Del Rio, poi Lorenzo Guerini e infine Luca Lotti, ma nessuno ne sapeva niente. Butto il cuore oltre l’ostacolo e telefono a Renzi che mi dice di pensare a me come anello di congiunzione fra palazzo Chigi e la Regione”. Le parole del premier trovano conferma in quelle del neo-governatore Mario Oliverio. A quel punto lei accetta: “Non ho pensato a cosa mi conveniva perché mi reputo una persona ‘a servizio’ di un’idea di politica. E poi le deleghe (Riforme, Semplificazione, Cultura, Istruzione, Pari opportunità, ndr) mi entusiasmavano perché avrei potuto lavorare sui giovani e soprattutto provare a riscrivere la legge regionale di riordino del territorio nel segno della lotta all’abusivismo edilizio”.
Peccato che quando escono i nomi della giunta Oliverio, la Lanzetta scopre di essere in compagnia di Nino di Gaetano il cui nome era apparso in un’informativa sulla cosca Tegano di Reggio Calabria. “Così ho comunicato che non volevo più farne parte e, visto che quelli erano i giorni dell’elezione del nuovo capo dello Stato ho voluto dimettermi subito anche dal dicastero in modo che il primo atto da firmare per il nuovo presidente Sergio Mattarella non fossero le mie dimissioni”.
Dopodiché il silenzio: non una telefonata o un sms né con Oliverio, né tantomeno con Renzi nonostante lei avesse chiesto una discussione pubblica all’interno del partito. “Non c’è mai stata e non se n’è più parlato. E’ finita così”.
IL DISASTRO DEL PD CALABRESE E LA “QUESTIONE MORALE”
Eppure anche senza nomine e con di nuovo indosso il camice da farmacista, non ha rinunciato a dire la sua nella Direzione nazionale del Partito democratico, dove nel 2013 è stata eletta in rappresentanza della corrente che faceva capo a Pippo Civati.
E da donna “profondamente di sinistra” continua a fare politica dentro al Pd contro quelli che lei definisce “i maggiorenti”, ovvero i gruppi di potere a lei ostili: i dirigenti di quel partito calabrese responsabili del disastro delle ultime amministrative. “Hanno preferito costituire dei comitati elettorali mortificando quei germogli di democrazia diretta che esistono anche in Calabria – spiega – E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: a Platì, San Luca e Rosarno, paesi simbolo del potere delle cosche, i dem non sono stati in grado di presentare neanche una lista, mentre a Cosenza la ‘santa alleanza con Denis Verdini’ ha umiliato il partito relegandolo al 7 per cento. Per non parlare di Lamezia Terme, Gioia Tauro e altre città importanti dove il Pd ha sistematicamente perso”.
Secondo la Lanzetta, il lanciafiamme evocato dal segretario-premier dopo il primo turno delle elezioni andrebbe usato per riproporre con forza il tema della questione morale: “Sì, ma alla Enrico Berlinguer e cioè imponendo comportamenti politico-amministrativi trasparenti e decisioni improntate alla coerenza. Un esempio? Attuare scelte urbanistiche che abbiamo come stella polare la difesa del territorio”.
Sarà un caso, ma la Lanzetta non è stata invitata a nessun comizio elettorale in nessuna amministrazione calabrese in cui si è votato.