Dieci condanne e otto assoluzioni nella sentenza di secondo grado che vedeva alla sbarra diciotto persone accusate di aver dominato le attività illecite: usura, estorisioni, controllo di attività economiche e appalti. Ma i giudici cancellano in blocco l'accusa di 416 bis. La rete di don Ciotti: "Stravolto il primo grado, derubricati i reati di chi ha seminato terrore"
Dieci condanne e otto assoluzioni. Questa la sentenza per il processo d’appello che vedeva alla sbarra diciotto persone, tra cui componenti delle famiglie Fasciani e Triassi, accusate di aver dominato le attività illecite a Ostia, quartiere litoraneo di Roma. È caduta l’associazione e l’aggravante della modalità mafiosa. I giudici della II Corte d’appello, dopo oltre tre ore di camera di consiglio, hanno condannato a 10 anni il capofamiglia Carmine Fasciani, confermando l’assoluzione di Vito e Vincenzo Triassi.
La corte ha condannato inoltre Terenzio Fasciani (5 anni e 8 mesi), Sabrina Fasciani (5 anni e 4 mesi), Azzurra Fasciani (4 anni e 10 mesi), Alessandro Fasciani (4 anni e mezzo), Silvia Franca Bartoli (6 anni e mezzo), Riccardo Sibio (4 anni e mezzo), John Gilberto Colabella (4 anni e mezzo), Luciano Bitti (4 anni e mezzo), Gilberto Inno (5 anni e 8 mesi). Per loro anche alcune assoluzioni per singoli capi d’imputazione. Oltre ai due Triassi sono stati poi assolti Nazzareno Fasciani, Fabio Guarino, Ennio Ciolli, Mirko Mazzoni, Danilo Anselmi ed Eugenio Ferramo.
Tre le associazioni giunte al vaglio processuale d’appello e tutte cadute, mentre sono state confermate le condanne per i reati contestati: la prima, di tipo mafioso, contestata ai due Triassi; la seconda, di tipo mafioso, contestata al gruppo Fasciani e finalizzata alla commissione di delitti di usura, estorsione, controllo di attività economiche, concessioni, appalti, intestazione fittizia di beni; la terza, associazione armata, quella contestata per l’importazione dalla Spagna e la successiva distribuzione e cessione a Roma e Ostia di sostanze stupefacenti. I giudici hanno deciso anche per il dissequestro del ristorante “Al contadino non far sapere”, riconducibile alla famiglia Fasciani.
La sentenza “stravolge quella di primo grado derubricando il ruolo di chi ha seminato terrore e commesso gravi reati a semplice associazione a delinquere, con pene che riporteranno presto in libertà i componenti di un clan pericoloso”, attacca in una nota Libera. “Ci chiediamo quale sia il futuro di un territorio, quello di Ostia, che deve finalmente affrancarsi dal potere espresso dai clan e dalla corruzione che ha segnato l’operato dei suoi uffici municipali, oggi sciolti proprio per mafia”.