Il sottosegretario a Palazzo Chigi ha confermato che l'idea è di far versare l'assegno dagli istituti. Poi il pensionato dovrebbe restituire il prestito a rate nei successivi 20 anni, pagando "fino al 15%" dell'importo mensile. Giulio Sapelli: "No a strumenti finanziari, piuttosto va cambiata la legge Fornero"
Dall’anno prossimo i nati tra il 1951 e il 1953 – i più penalizzati dai nuovi requisiti della riforma Fornero – potranno andare in pensione in anticipo. A versare loro l’assegno, fino al raggiungimento dell’età minima prevista dalla legge, saranno le banche. Con cui l’Inps contrarrà un prestito che il pensionato dovrà poi restituire, con gli interessi, nei successivi 20 anni. Il giochetto gli costerà fino al 15% della pensione: a tanto ammonteranno le rate. Ci sarà però una detrazione fiscale che dovrebbe ridurre i costi. E’ quello che è emerso durante l’incontro di martedì tra governo e sindacati sull’anticipo pensionistico (Ape) allo studio del governo.
Il sottosegretario di Palazzo Chigi Tommaso Nannicini ha spiegato che il coinvolgimento di istituti di credito e assicurazioni è necessario per rispettare i vincoli di bilancio, perché la stima dei costi previsti per la flessibilità in uscita è di 10 miliardi e le casse pubbliche non possono affrontare un esborso del genere. Un’ammissione che l’economista dell’Università statale di Milano Giulio Sapelli ha commentato dicendo che “ricorrere ai prestiti bancari per la flessibilità delle pensioni, con le condizioni attuali delle banche italiane, è esporre al rischio i risparmi degli italiani”.
Nannicini ha spiegato che nel 2018 e 2019 potranno accedere all’Ape anche i lavoratori nati fino al 1955. In generale, chi è a meno di tre anni dalla maturazione dei requisiti potrà chiedere all’Inps l’anticipo e l’istituto si interfaccerà con le banche che anticiperanno il capitale. Il prestito sarà “senza garanzie reali” e nel caso il beneficiario muoia prima di averlo estinto non ci si rivarrà sugli eredi.
Quanto alla percentuale di riduzione dell’assegno incassato da chi esce dal lavoro al compimento dei 63 anni ma prima di quanto previsto dalla riforma Fornero, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha confermato ai sindacati che “si esce prima solo una con penalizzazione più o meno alta”. Ma Nannicini ha precisato che “per alcuni soggetti più deboli e meritevoli di tutela” non ci saranno decurtazioni ma solo una rata di ammortamento di 20 anni, con la copertura assicurativa ed una detrazione fiscale sulla parte del capitale anticipato. Detrazione che “potrà essere modificata per categorie diverse”, per esempio riducendo i costi di più per chi ha perso il lavoro. Non c’è comunque nulla di ufficiale, nonostante la presentazione del piano per la flessibilità fosse stata annunciata per il mese di maggio. E per il 23 e 28 giugno sono in agenda ulteriori incontri tra governo e sindacati.
In attesa dei dettagli Sapelli, interpellato dall’AdnKronos, ha detto che “non servono strumenti finanziari per la flessibilità, ma piuttosto va cambiata radicalmente la legge Fornero che non ha fatto risparmiare nulla dal punto di vista del debito pubblico, tiene al lavoro le persone oltre l’età da pensione e non mette nelle condizioni le aziende di poter assumere giovani per puntare allo sviluppo nel manifatturiero, nel turismo e nei servizi”. Per l’economista, “quindi, abbassare l’età pensionabile è fondamentale, per un Paese che vuole puntare allo sviluppo nel manifatturiero, nel turismo e nei servizi”.