Cambiare i vertici di Acea rischia di costare caro al futuro sindaco di Roma. Per questo se la candidata M5S Virginia Raggi dovesse conquistare il Campidoglio e mettere in atto i suoi propositi di cambiamento dell’assetto di governo della società di cui la Capitale ha il 51%, meglio farebbe ad attendere la naturale scadenza del mandato dell’attuale consiglio. Che è prevista con l’assemblea che approverà il bilancio 2016, cioè a marzo del prossimo anno. In caso contrario, mandar via anche solo l’amministratore delegato dell’azienda capitolina dell’acqua e dell’elettricità, Alberto Irace, potrebbe costare agli azionisti circa 1,3 milioni.
È di quest’ordine di grandezza, infatti, la cifra che, secondo quanto risulta al fattoquotidiano.it, finirà nelle tasche del manager pubblico nel caso in cui il futuro sindaco di Roma decida di mandarlo a casa prima della fine del suo mandato. Se la somma, stimata in base alla relazione sulla remunerazione di Acea, verrà confermata, sarà decisamente più bassa di quella incassata dai predecessori di Irace. Tuttavia sul tema l’azienda, interpellata dal fattoquotidiano.it, non ha voluto fornire precisazioni.
La questione è spinosa. Cacciare l’uomo voluto da Ignazio Marino e da Matteo Renzi ai vertici di Acea avrà un costo rilevante per l’azienda partecipata da Caltagirone oltre che dai francesi di Gdf-Suez. E i precedenti tentativi di dare un taglio netto alle indennità degli ex vertici hanno avuto scarsi risultati. Lo testimonia il fatto che recentemente il tribunale del lavoro di Roma ha dato ragione all’ex presidente Giancarlo Cremonesi, cacciato dall’ex sindaco Marino prima della fine del mandato: i giudici hanno infatti obbligato Acea a pagare 840mila euro a Cremonesi per i compensi non percepiti e le spese legali. Con il risultato che ora sulla faccenda c’è anche l’occhio della Corte dei Conti.
Se per Acea si prospetta un conto salato, per Alberto Irace, invece, arriverà un compenso certo. Inoltre, con ogni probabilità, il manager non dovrà attendere molto prima di ricollocarsi come i suoi predecessori Paolo Gallo, oggi ad dell’azienda pubblico-privata in via di dismissione Grandi Stazioni, e Andrea Mangoni, fino a novembre ai vertici di Fincantieri e oggi ad di doBank, istituto specializzato nei crediti inesigibili di proprietà del colosso statunitense Fortress.
Cresciuto all’ombra della politica di sinistra, Alberto Irace, cagliaritano classe 1967, è del resto un manager pubblico di lungo corso con un passato da amministratore comunale. Inizia la sua carriera politica negli anni Novanta: dopo i diplomi di perito tecnico e di antropologo, a 25 anni conquista la poltrona di assessore, in quota Pds, a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli. Di quel comune diventa poi anche vicesindaco. Ben presto passa dalla carriera politica a quella dei boiardi di Stato: nel 1998 viene nominato presidente e amministratore dell’Ente d’ambito sarnese vesuviano, un consorzio pubblico obbligatorio composto da 76 comuni campani per la tutela idrica del territorio. E’ un’esperienza intensa, che dura poco meno di un decennio, in un territorio non privo di difficoltà. Ma che comunque lascia il tempo a Irace di occuparsi, in qualità di ad e consigliere (dal 2005 ad oggi), della Fondazione Mezzogiorno Europa, presieduta dal politico campano, in quota Pd, Umberto Ranieri, pupillo dell’ex presidente Giorgio Napolitano.
Dal 2009, le competenze sviluppate nel settore idrico valgono l’ingresso nello staff dell’allora amministratore delegato di Acea, Marco Staderini. Assume anche l’incarico di negoziatore della ristrutturazione della partnership nell’acqua tra Acea spa e i francesi di Gdf-Suez, con cui, fra il 2010 e il 2015, Irace sarà in contatto stretto per via dell’incarico di consigliere nel cda di Intesa aretina scarl, controllata dal gruppo francese. Tra il 2009 e il 2015 è anche ad di Publiacqua spa, società di cui si è di recente sentito parlare per la voragine sul Lungarno e già nota a Firenze come simbolo del potere renziano per via degli incarichi al ministro Maria Elena Boschi e all’ex direttore dell’Unità Erasmo D’Angelis.
Infine conquista l’incarico di consigliere dell’Acquedotto del Fiora spa e presidente di Acque blu fiorentine srl, azienda socia al 40% della toscana Publiacqua e controllata da Acea, Mps, Ondeo Italia (Suez) e la Vianini Lavori del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone. Sono anni importanti per Irace, che, dopo aver ottenuto da tempo la fiducia dei soci privati di Acea, vive da vicino l’ascesa renziana. Così, quando a Roma l’ex sindaco Ignazio Marino decide di sostituire il manager voluto da Gianni Alemanno, Paolo Gallo, Irace è subito in pole position. Anche perché nei progetti del premier c’è l’idea di far assorbire Publiacqua alla Acea ampliando il perimetro d’azione della società romana. Il suo nome è del resto gradito anche ai soci privati. Così nell’estate 2014 arriva la prestigiosa poltrona ai vertici di Acea: “Il cda ha approvato all’unanimità la nomina di Alberto Irace come amministratore delegato. È andato tutto come doveva andare, è la soluzione migliore”, spiega il consigliere Francesco Caltagirone alla fine del consiglio di amministrazione che nomina il nuovo ad.
In azienda, Irace si dà subito da fare: ingaggia il guru della comunicazione statunitense John O.Kotter, già consulente del presidente Obama e ispiratore del messaggio di rottamazione renziano. Kotter arriva in Acea a costi astronomici (2,5 milioni di euro secondo il Giornale, circa 300mila euro mensili). Obiettivo: spiegare ai dipendenti la necessità del cambiamento attraverso la metafora dei pinguini al polo che affrontano lo scongelamento dei ghiacciai. Le domande che circolano di frequente nei corridoi dell’azienda sono: “Che pinguino sei? Ti salverai dalla metamorfosi che cambierà in meglio Acea?”. Oggi fra i dipendenti Acea sono in molto a chiedersi cosa risponderebbero Irace e lo stesso Renzi.