«Non si discute, il ministro lo fai te». È il primo sabato di luglio del 2014. Matteo Renzi torna a Firenze e raggiunge Lapo Pistelli nell’ufficio di un amico comune, vicino a Palazzo Vecchio. All’incontro sono in quattro. L’ordine del giorno è semplice: il titolare della Farnesina, Federica Mogherini, è proiettata verso la poltrona di alto rappresentante della politica estera Ue. Va sostituita. Pistelli è stato già il vice di Emma Bonino nel governo Letta ed è rimasto il numero due del dicastero anche con la stessa Mogherini. Il passaggio è naturale, legittimo, scontato. In più è il premier in persona a garantirglielo, appunto davanti ad alcuni testimoni. Pistelli gli crede, lo scrive sui social. L’idea lo affascina. Inizia ad annunciarlo anche in qualche intervista. Il 15 luglio «La Nazione» titola: «Lapo, il prossimo ministro degli Esteri: “Ma è Renzi a decidere”». Lui, in cuor suo, è certo della nomina, anche alla luce del rapporto che lega i due da molti anni: «Merito un riconoscimento, dopotutto me lo deve». È Pistelli, infatti, a «scoprire» il giovane Matteo quando ancora studia Legge e si presenta come impiegato di un’agenzia di marketing che, in realtà, è l’azienda di famiglia Chil, in cui non è assunto ma è socio insieme alla madre, Laura Bovoli, e alle sorelle Benedetta e Matilde. (…)
Quando Renzi, nel febbraio del 2014, arriva a Palazzo Chigi, lo ritrova alla Farnesina. E lì lo lascia. Vice. A lui preferisce Mogherini. Dirà per scelta del capo dello Stato. Pistelli non ci spera neanche. Conosce il suo figlioccio, ha ancora vive le immagini del percorso e degli sgambetti che ha fatto. A fine giugno però è Matteo a recapitargli la proposta tramite un amico fiorentino comune: «Senti se Lapo sarebbe interessato a fare il ministro degli Esteri». La risposta arriva a breve, scontata: «Ovvio che sì». Così, dopo vari appuntamenti saltati, a inizio luglio finalmente i due si incontrano. Ormai è certo che Mogherini lascerà il dicastero. Strette di mano, abbracci, pacche sulle spalle: di nuovo insieme. Lapo si prepara da anni a quella poltrona, è la sua aspirazione, nonché vocazione naturale. Lo comunica agli amici più stretti. Qualcuno gli suggerisce di non fidarsi. «È sicuro, figurati» risponde. Ma è il «Corriere della Sera», la mattina del 28 ottobre, al termine del fine settimana alla Leopolda, a dare la ferale notizia: Renzi sta valutando un nome nuovo per la Farnesina, quello di Lia Quartapelle, trentaduenne sconosciuta deputata milanese del Pd alla sua prima legislatura. Scrive il quotidiano: «Il nome della giovane parlamentare lombarda per il vertice della Farnesina sembra scartare quelli più volte circolati nei giorni scorsi, come l’attuale sottosegretario agli Esteri, Lapo Pistelli, o la vicepresidente della Camera, Marina Sereni. Non che le loro chance si siano del tutto dileguate, ma in favore della Quartapelle, oltre naturalmente al fattore rosa che condivide con Sereni, giocherebbe soprattutto la totale novità che la sua nomina comporterebbe, quell’effetto sorpresa che è ormai parte essenziale della narrativa renziana». Il premier – come spiegherà lui stesso – nei giorni della Leopolda si rende conto che Pistelli è troppo preparato, competente negli Esteri. Ha una rete propria: sarebbe ingestibile o, comunque, coprirebbe la figura del nuovo capo. «Io voglio ministri leggeri, leggeri: il governo sono io perché se qualcuno sbaglia vado a casa io» spiega Renzi ad alcuni ex «suggeritori» con i quali è rimasto in buoni rapporti ma che hanno preferito allontanarsi dal circo del rottamatore. E sono molti. Tutti confermano quanto ami da sempre circondarsi di comparse. Anche in Comune, da sindaco, ripete spesso: «Dovete giudicare me, gli assessori sono lavoratori precari per eccellenza». Con Pistelli si farà perdonare. Grazie a una nomina in una controllata. Nel giugno successivo, infatti, Lapo diventa vicepresidente senior dell’Eni, con delega alla promozione del business internazionale: un milione di euro di compenso l’anno e un biglietto di addio al Palazzo.