Due film impensabili, seppur diversi e reciprocamente distanti nel tempo portano nel loro Dna la stessa coppia d’elementi primari: degenerazione e colpa, le molecole comuni di Porcile e 87 ore
Legno e acciaio sono materie prime dalle quali si può ottenere un’infinità di oggetti. Come un mobile in design. O una pistola. Stessa anima materica ma utilizzo e significati distanti anni luce. Non ci sono pistole né design nel film di Pier Paolo Pasolini girato nel 1969, Porcile, ma una metafora intorno a degenerazione e colpa della classe sociale dominante, bramosa di potere insieme alla propria progenie. La degenerazione sta nel cannibalismo del primo episodio, dove in una landa antica e vulcanica un uomo, poi gruppo, caccia altri uomini per mangiarli. Colpa che porterà infine a subire una condanna simile. Si svolge parallelo il dramma borghese di un industriale tedesco e nostalgico del Führer che cerca di nascondere a sé stesso e al vecchio amico ex-nazista le perversioni zoofile del figlio.
I figli scontano, con la propria degenerazione, la colpa dei padri presi febbrilmente dalla corsa al potere. Non solo temi e linguaggio spingono al massimo la critica pasoliniana alla classe borghese, ma le facce di questa pantomima oscura erano quelle di Alberto Lionello, Marco Ferreri e Ugo Tognazzi (oltre al Ninetto Davoli della compagnia dei cannibali). Rassicuranti per l’immaginario dell’epoca poiché legati alla commedia, per un effetto ancor più destabilizzante.
Per la prima volta, il restauro in 2k ad opera dello studio Immagine Ritrovata nel 2012 e voluto da Cineteca Nazionale di Bologna e Medusa viene riversato in Blu-Ray. Il risultato visivo fa respirare d’aria nuova il film, confermando l’intervento digitale su originarie pellicole anamorfiche – in questo caso la Eastmancolor utilizzata da PPP – come la tecnica cinematografica dalla resa migliore di tanta attuale ultra-definizione in formato nativo.
Se Porcile affronta ipocrisia e familismi borghesi, squarciando il silenzio sull’indicibile come fosse una filastrocca amara, 87 ore, gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni riporta a galla la storia di un maestro elementare sottoposto a Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio) per aver manifestato anomalie comportamentali. Il fatto accadde nel 2009 a Vallo della Lucania. L’uomo morì in pochi giorni causa una prolungata e animalesca contenzione. I video girati dalle telecamere di sorveglianza, che ritrassero l’uomo legato al letto durante la degenza, furono messi online integralmente da L’Espresso per la prima udienza processuale.
Alle immagini shock, Costanza Quatriglio ha aggiunto alcune testimonianze audio e la sua sensibilità visiva. La vicenda evolve a storia d’ingiustizia. Più che un doc, un film sociale, circolare, partendo dalla spiaggia dove avvenne la cattura. Lo strazio di un uomo rimpicciolito a oggetto si specchia nella degenerazione del trattamento ospedaliero e sbatte lo spettatore su una colpa che vede medici e infermieri in un percorso processuale ancora in itinere. L’opera morde il presente e raschia la coscienza lenta e implacabile, coi suoi silenziosi video a scatto. La contenzione contrasta con le tinte saturate della stanza, mentre proprio i paesaggi naturali sono quelli più smunti.
Una scelta non casuale per definire la vita imprigionata e quella forzosamente assente sui luoghi natii. Suona come un carillon la colonna sonora, per poi rivelarsi, con l’effetto d’un ordigno a orologeria, il pezzo dei 99 Posse scritto per il film. Si cita Addio Lugano bella, canzone popolare anarchica, perché Mastrogiovanni le cantava al momento del ricovero. L’edizione Dvd contiene molti approfondimenti video sulla pratica psichiatrica della contenzione, cronaca e costruzione del film. Se Pasolini guardava al sistema e alla coscienza sporca delle sue classi confezionando metafore impudenti su colpe e degenerazioni, Quatriglio sceglie invece la via cellulare del cinema del reale: un solo uomo degenerato socialmente, ma portato alla morte.
Nuova e più tremenda colpa di un angolo di sistema sanitario. Entrambi i registi, seppur da direzioni diverse, raggiungono una catarsi estetica e di contenuto, aprendo per lo spettatore una magmaticità di temi e sottotesti vastissima. Tanto cinema di oggi è davvero rumoroso in sala, e, stringi stringi, produce lunghi silenzi d’idee. Ma in certi altri casi i silenzi gridano alla coscienza più d’ogni altra cosa.