Il primo aiuto glielo offrì padre Ernesto Balducci. Pochi soldi che le avrebbero permesso di aprire un comedor, cioè un posto dove dar da mangiare ai quinchos, i bambini di strada.
E il primo spazio glielo prestò, per poche ore al giorno, un altro prete, don Jesús Arguete: una stanza al primo piano di un fatiscente palazzo di Managua; le scale erano crollate e ci si poteva arrivare solo attaccandosi a una corda.
Cominciò così, 25 anni fa, la seconda (ma anche terza o quarta) vita di Zelinda Roccia: cagliaritana, premio Terzani 2013 per le Culture di Pace, fondatrice e anima del progetto Los Quinchos, un villaggio che in Nicaragua accoglie, accudisce, accompagna nello studio e nella ricerca di un lavoro, gli ultimi di quella terra, i bambini che nessuno vuole. Le prime due vite Zelinda le aveva vissute come circense (in realtà lo era suo padre), artista di teatro, insegnante di Lettere. E queste vite, soprattutto l’ultima, le racconta Francesca Caminoli in “Perché non mi dai un bacio?” (Jaca book), un reportage dall’interno, perché da anni l’autrice, ex giornalista e scrittrice di rara sensibilità (Il giorno Di Bajram, La neve di Ahmed, La guerra di Boubacar) passa lunghi periodo come volontaria a Los Quinchos.
Quanti bambini sono passati, in questi 25 anni, sotto lo sguardo materno ma anche severo di Zelinda? Quanti ce l’hanno fatta e quanti si sono persi? “Tantissimi, forse diecimila” dice Zelinda. “Me li ricordo uno per uno, ricordo i loro volti, le loro storie. Tutte difficile, dure, alcune quasi inenarrabili”. Come quelle di Francisco el chelito, Sonrisa, il bellissimo Piri. “Quante possibilità abbiamo dato al Piri, quante volte lo abbiamo ripreso. Ma la sua vita è la strada, la strada chiama, attira ti fa sentire libero. Ora è perso in strada, la mente distrutta dalla droga”. Ma ci sono anche Chepe, che adesso è medico, e da bambino lavorava come schiavo, vero schiavo, in una fattoria. E Tata, che lavora al progetto gemello dei Quinchos, le Yahoskas, riservato alle bambine.
Ha fatto tutto da sola, Zelinda, spinta da un radicato e irrefrenabile desiderio di aiutare i bambini meno fortunati e dall’incontro fortuito con tre fratellini che dormivano nella ruota di un camion a Managua. “Perché non mi dai un bacio?” le chiese uno di loro, il più piccolo, mentre lo portava in braccio a prendere un gelato. Era il 1986. Zelinda, reduce da un lungo viaggio sulle tracce dei sandinisti, sarebbe rientrata in Italia il giorno dopo. Promise ai tre fratellini che sarebbe tornata. E così fece, cinque anni dopo. Ma naturalmente non li ritrovò. Ne incontrò, invece, molti altri: abbandonati, affamati, schiavi della pega, la colla che annusavano aspirandone i fumi stordenti e tossici.
Dopo quella prima stanza a cui si accedeva con la corda, ce ne sono state altre, poverissime, fuori Managua, per togliere i bimbi dalla strada. E poi, grazie a qualche incontro fortunato e alla vendita di tutto quanto Zelinda possedeva in Italia, una finca, una specie di fattoria. Oggi il progetto Los Quinchos, un’associazione laica sostenuta da comitati di base italiani e organizzazioni di diversi Paesi, raccoglie 250 bambini e bambine divisi in vari centri.
Zelinda non ha mai voluto finanziamenti dalla cooperazione internazionale. “Ho sempre percorso la strada dei piccoli passi, dei microprogetti (…) penso che i grandi finanziamenti delle grandi Ong siano pericolosi” dice, perché “obbligano a seguire la linea di chi te li dà, modificano e snaturano il tuo progetto (…) se ne infischiano della realtà di dove questi soldi vanno a finire”. La cooperazione di questo tipo, chiosa Zelinda, “fa stare bene chi ci lavora, non quelli per cui lavorano”.
Quella inventata da Zelinda è invece una comunità che assomiglia a una famiglia: una famiglia monumentale, dove i meccanismi, però, sono gli stessi. “I figli crescono, qualcuno va tranquillo per la sua strada, altri si fanno ribelli, contestano, ti rinnegano scappano. Alcuni tornano, altri no. Alcuni trovano un lavoro, altri si laureano, altri tornano in strada e diventano delinquenti. Gioie e dolori come in ogni grande famiglia. Molto allargata, certo, e un po’ strana forse. Con tantissimi fratelli e sorelle, zie e zii che sono gli educatori, i promotori, le cuoche, le donne che aiutano i ragazzi a lavare le loro cose, i volontari di tanti paesi e di tante età diverse”. Per chi volesse dare una mano, o anche solo saperne di più: http://www.losquinchos.it/
Valeria Gandus
Giornalista e scrittrice
Mondo - 16 Giugno 2016
Dal circo di Cagliari ai bambini di strada del Nicaragua. Le quattro vite di Zelinda Roccia
Il primo aiuto glielo offrì padre Ernesto Balducci. Pochi soldi che le avrebbero permesso di aprire un comedor, cioè un posto dove dar da mangiare ai quinchos, i bambini di strada.
E il primo spazio glielo prestò, per poche ore al giorno, un altro prete, don Jesús Arguete: una stanza al primo piano di un fatiscente palazzo di Managua; le scale erano crollate e ci si poteva arrivare solo attaccandosi a una corda.
Cominciò così, 25 anni fa, la seconda (ma anche terza o quarta) vita di Zelinda Roccia: cagliaritana, premio Terzani 2013 per le Culture di Pace, fondatrice e anima del progetto Los Quinchos, un villaggio che in Nicaragua accoglie, accudisce, accompagna nello studio e nella ricerca di un lavoro, gli ultimi di quella terra, i bambini che nessuno vuole. Le prime due vite Zelinda le aveva vissute come circense (in realtà lo era suo padre), artista di teatro, insegnante di Lettere. E queste vite, soprattutto l’ultima, le racconta Francesca Caminoli in “Perché non mi dai un bacio?” (Jaca book), un reportage dall’interno, perché da anni l’autrice, ex giornalista e scrittrice di rara sensibilità (Il giorno Di Bajram, La neve di Ahmed, La guerra di Boubacar) passa lunghi periodo come volontaria a Los Quinchos.
Quanti bambini sono passati, in questi 25 anni, sotto lo sguardo materno ma anche severo di Zelinda? Quanti ce l’hanno fatta e quanti si sono persi? “Tantissimi, forse diecimila” dice Zelinda. “Me li ricordo uno per uno, ricordo i loro volti, le loro storie. Tutte difficile, dure, alcune quasi inenarrabili”. Come quelle di Francisco el chelito, Sonrisa, il bellissimo Piri. “Quante possibilità abbiamo dato al Piri, quante volte lo abbiamo ripreso. Ma la sua vita è la strada, la strada chiama, attira ti fa sentire libero. Ora è perso in strada, la mente distrutta dalla droga”. Ma ci sono anche Chepe, che adesso è medico, e da bambino lavorava come schiavo, vero schiavo, in una fattoria. E Tata, che lavora al progetto gemello dei Quinchos, le Yahoskas, riservato alle bambine.
Ha fatto tutto da sola, Zelinda, spinta da un radicato e irrefrenabile desiderio di aiutare i bambini meno fortunati e dall’incontro fortuito con tre fratellini che dormivano nella ruota di un camion a Managua. “Perché non mi dai un bacio?” le chiese uno di loro, il più piccolo, mentre lo portava in braccio a prendere un gelato. Era il 1986. Zelinda, reduce da un lungo viaggio sulle tracce dei sandinisti, sarebbe rientrata in Italia il giorno dopo. Promise ai tre fratellini che sarebbe tornata. E così fece, cinque anni dopo. Ma naturalmente non li ritrovò. Ne incontrò, invece, molti altri: abbandonati, affamati, schiavi della pega, la colla che annusavano aspirandone i fumi stordenti e tossici.
Dopo quella prima stanza a cui si accedeva con la corda, ce ne sono state altre, poverissime, fuori Managua, per togliere i bimbi dalla strada. E poi, grazie a qualche incontro fortunato e alla vendita di tutto quanto Zelinda possedeva in Italia, una finca, una specie di fattoria. Oggi il progetto Los Quinchos, un’associazione laica sostenuta da comitati di base italiani e organizzazioni di diversi Paesi, raccoglie 250 bambini e bambine divisi in vari centri.
Zelinda non ha mai voluto finanziamenti dalla cooperazione internazionale. “Ho sempre percorso la strada dei piccoli passi, dei microprogetti (…) penso che i grandi finanziamenti delle grandi Ong siano pericolosi” dice, perché “obbligano a seguire la linea di chi te li dà, modificano e snaturano il tuo progetto (…) se ne infischiano della realtà di dove questi soldi vanno a finire”. La cooperazione di questo tipo, chiosa Zelinda, “fa stare bene chi ci lavora, non quelli per cui lavorano”.
Quella inventata da Zelinda è invece una comunità che assomiglia a una famiglia: una famiglia monumentale, dove i meccanismi, però, sono gli stessi. “I figli crescono, qualcuno va tranquillo per la sua strada, altri si fanno ribelli, contestano, ti rinnegano scappano. Alcuni tornano, altri no. Alcuni trovano un lavoro, altri si laureano, altri tornano in strada e diventano delinquenti. Gioie e dolori come in ogni grande famiglia. Molto allargata, certo, e un po’ strana forse. Con tantissimi fratelli e sorelle, zie e zii che sono gli educatori, i promotori, le cuoche, le donne che aiutano i ragazzi a lavare le loro cose, i volontari di tanti paesi e di tante età diverse”. Per chi volesse dare una mano, o anche solo saperne di più: http://www.losquinchos.it/
Articolo Precedente
Usa, mamma insultata mentre allatta in un fast food: due clienti la difendono
Articolo Successivo
Cina, apre il parco Disney. Per realizzarlo chiusura forzata di fabbriche e trasferimento di centinaia di persone
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Le condizioni di Papa Francesco si sono aggravate: “Crisi respiratoria e anemia, sono stati necessarie trasfusioni e ossigeno”. I medici: “Prognosi riservata”
Politica
Meloni: “Ucraina combatte contro un brutale aggressore. Con Trump raggiungeremo una pace giusta”
Politica
Renzi a Miami da Trump all’evento del fondo saudita. Calenda: “Mi vergogno di averlo fatto eleggere”
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - In Ucraina "un popolo coraggioso combatte contro una brutale aggressione". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "I nostri avversari sperano che Trump si allontani da noi. Io lo conosco, e scommetto che dimostreremo che si sbagliano. Qualcuno può vedere l'Europa come distante, lontana. Io vi dico: non è così". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio alla convention Cpac a Washington.