Chissà se Pier Carlo Padoan quando rifletteva ad alta voce sulla necessità di liberarsi dei vincoli strutturali che zavorrano l’Italia da 20 anni si riferiva all’entrata dell’Italia nella moneta unica. Se prendiamo per buoni i riferimenti temporali citati dal ministro tutto sembra ricondurre a quei vincoli strutturali oggetto della questione. Nel 1996 infatti siamo entrati nuovamente nello Sme, agganciando la lira al cambio fisso con l’Ecu, così da produrne una consistente rivalutazione nei confronti delle altre valute europee. Non è affatto un caso che da quell’anno in poi sia iniziato il lento declino della produttività italiana, dal momento che ci siamo difatti vincolati a un tasso di cambio troppo forte per le nostre esportazioni prima di fare il nostro ingresso in un’altra unione di cambi fissi irreversibile, qual è l’euro.
Sappiamo fin troppo bene come l’euro sia la moneta della Germania. Il dato di fondo che sta nelle osservazioni di Padoan, sta nel riconoscere che l’euro così com’è non ha molte prospettive di lunga durata, e che se la Germania “non condivide i rischi” dell’unione monetaria, tanto vale non continuare e finirla qui. Quello che il ministro ci sta dicendo, in altre parole, è che abbiamo superato da un pezzo il punto di non ritorno. La Germania si trova in questo momento nella migliore posizione possibile, e non ha alcun interesse a cambiare né a rinunciare al suo bonus di competitività sugli altri paesi europei. Se l’euro non dovesse essere più l’espressione degli interessi tedeschi, la Germania stessa sarebbe pronta ad uscirne. Per capire in che modo e con quali esiti potrebbe concludersi questa storia, è utile ricordare il precedente dello Sme, il cosiddetto serpentone monetario europeo padre dell’euro, al quale l’Italia si legò nel 1979 prima (il primo Sme) e nel 1986 poi, il secondo Sme,noto anche come Sme credibile.
Nel primo Sme, i tassi di cambio delle principali valute europee venivano concordati in base ad una banda di oscillazione del 2,25% verso l’Ecu ancorato di fatto al marco tedesco, con l’eccezione della lira e della peseta spagnola alle quali furono accordate bande più ampie del 6%. Nel secondo Sme, l’Italia si accordò con gli altri paesi europei per ridurre la capacità di fluttuazione del cambio della lira dal 6% al 2,25%. Non fu una scelta molto felice, e se ne possono intuire le ragioni guardando agli alti differenziali di inflazione dell’Italia nei confronti dei paesi del Nord Europa. Sostanzialmente, se si riduce la capacità di fluttuazione del proprio cambio e si ha un’inflazione decisamente più alta dei paesi del Nord Europa, è evidente che si creerà un gap di competitività con questi. In altre parole per impedire la fuga di capitali dalla periferia al centro, non restavano che due strade; o alzare i tassi di interesse sui propri titoli per attirare i capitali; oppure difendere il tasso di cambio svuotando le riserve di valuta estera della Banca d’Italia.
Nello Sme del 1986 difatti c’erano già tutte le premesse per far esplodere la crisi del 1992, dal momento che gli speculatori ben sapevano che l’Italia non avrebbe potuto continuare all’infinito a difendere il cambio, e prima o poi avrebbe finito le munizioni. Nonostante questa evidenza, l’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, non decise affatto di rinunciare alla difesa del cambio, ma pensò bene di svuotare le riserve estere di Bankitalia per un importo pari a 48 miliardi di dollari, riempiendo le tasche degli speculatori che ancora oggi ringraziano sentitamente.
Furono vani anche gli aumenti dei tassi di interesse che continuarono ad aumentare fino al settembre del 1992, quando finalmente il governo Amato decise di uscire dallo Sme, ma solamente dopo un gioco al massacro durato diversi mesi. Questa storia ci è utile per comprendere come alcuni meccanismi non siano frutto del caso, ma di precise scelte di politica economica. Grazie alla crisi dello Sme, fu possibile realizzare tutta una serie di riforme che cambiarono per sempre la struttura dell’economia italiana.
Il governo Amato permise lo smantellamento dell’Iri, portando in dote i gioielli dell’industria italiana nelle mani delle grandi compagnie straniere, realizzò il prelievo del 6 per mille sui correnti bancari delle famiglie italiane, impose il ticket sanitario e aumentò l’età pensionabile. Fu la prima austerity della storia italiana eseguita in nome del principio del pareggio di bilancio. Gli effetti furono devastanti e controproducenti, tanto che il debito pubblico l’anno seguente aumento dal 105% al 115%. Lo Sme finì quando aveva perso la sua ragion d’essere, l’Italia uscì e svalutò la lira solo dopo che i suoi concorrenti europei avevano tratto tutti i vantaggi possibili da esso, e oramai non aveva più senso restare.
Ora nel 2016 ci si chiede se toccherà la stessa sorte all’euro, e se sia giunto il momento di staccare la spina alla moneta unica non prima però di essere passati all’incasso dei crediti che i paesi del Nord Europa vantano nei confronti dell’Italia, pari a circa 276 miliardi di euro come rilevato dai saldi target 2. Per rientrare di questi squilibri con l’estero, sarebbe necessaria una patrimoniale che solamente un governo non eletto potrebbe realizzare. Mentre continua il declino di Renzi, salgono le quotazioni del M5s di Di Maio divenuto decisamente più accomodante verso l’Europa. Sarà il Movimento dell’onestà a sostituire Renzi e a realizzare la fase finale dell’euro? Qualcuno è già pronto a scommetterci.
Cesare Sacchetti
Blogger e esperto in Studi europei
Zonaeuro - 16 Giugno 2016
Pier Carlo Padoan e la fine dell’euro: finirà come lo Sme nel 1992?
Chissà se Pier Carlo Padoan quando rifletteva ad alta voce sulla necessità di liberarsi dei vincoli strutturali che zavorrano l’Italia da 20 anni si riferiva all’entrata dell’Italia nella moneta unica. Se prendiamo per buoni i riferimenti temporali citati dal ministro tutto sembra ricondurre a quei vincoli strutturali oggetto della questione. Nel 1996 infatti siamo entrati nuovamente nello Sme, agganciando la lira al cambio fisso con l’Ecu, così da produrne una consistente rivalutazione nei confronti delle altre valute europee. Non è affatto un caso che da quell’anno in poi sia iniziato il lento declino della produttività italiana, dal momento che ci siamo difatti vincolati a un tasso di cambio troppo forte per le nostre esportazioni prima di fare il nostro ingresso in un’altra unione di cambi fissi irreversibile, qual è l’euro.
Sappiamo fin troppo bene come l’euro sia la moneta della Germania. Il dato di fondo che sta nelle osservazioni di Padoan, sta nel riconoscere che l’euro così com’è non ha molte prospettive di lunga durata, e che se la Germania “non condivide i rischi” dell’unione monetaria, tanto vale non continuare e finirla qui. Quello che il ministro ci sta dicendo, in altre parole, è che abbiamo superato da un pezzo il punto di non ritorno. La Germania si trova in questo momento nella migliore posizione possibile, e non ha alcun interesse a cambiare né a rinunciare al suo bonus di competitività sugli altri paesi europei. Se l’euro non dovesse essere più l’espressione degli interessi tedeschi, la Germania stessa sarebbe pronta ad uscirne. Per capire in che modo e con quali esiti potrebbe concludersi questa storia, è utile ricordare il precedente dello Sme, il cosiddetto serpentone monetario europeo padre dell’euro, al quale l’Italia si legò nel 1979 prima (il primo Sme) e nel 1986 poi, il secondo Sme,noto anche come Sme credibile.
Nel primo Sme, i tassi di cambio delle principali valute europee venivano concordati in base ad una banda di oscillazione del 2,25% verso l’Ecu ancorato di fatto al marco tedesco, con l’eccezione della lira e della peseta spagnola alle quali furono accordate bande più ampie del 6%. Nel secondo Sme, l’Italia si accordò con gli altri paesi europei per ridurre la capacità di fluttuazione del cambio della lira dal 6% al 2,25%. Non fu una scelta molto felice, e se ne possono intuire le ragioni guardando agli alti differenziali di inflazione dell’Italia nei confronti dei paesi del Nord Europa. Sostanzialmente, se si riduce la capacità di fluttuazione del proprio cambio e si ha un’inflazione decisamente più alta dei paesi del Nord Europa, è evidente che si creerà un gap di competitività con questi. In altre parole per impedire la fuga di capitali dalla periferia al centro, non restavano che due strade; o alzare i tassi di interesse sui propri titoli per attirare i capitali; oppure difendere il tasso di cambio svuotando le riserve di valuta estera della Banca d’Italia.
Nello Sme del 1986 difatti c’erano già tutte le premesse per far esplodere la crisi del 1992, dal momento che gli speculatori ben sapevano che l’Italia non avrebbe potuto continuare all’infinito a difendere il cambio, e prima o poi avrebbe finito le munizioni. Nonostante questa evidenza, l’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, non decise affatto di rinunciare alla difesa del cambio, ma pensò bene di svuotare le riserve estere di Bankitalia per un importo pari a 48 miliardi di dollari, riempiendo le tasche degli speculatori che ancora oggi ringraziano sentitamente.
Furono vani anche gli aumenti dei tassi di interesse che continuarono ad aumentare fino al settembre del 1992, quando finalmente il governo Amato decise di uscire dallo Sme, ma solamente dopo un gioco al massacro durato diversi mesi. Questa storia ci è utile per comprendere come alcuni meccanismi non siano frutto del caso, ma di precise scelte di politica economica. Grazie alla crisi dello Sme, fu possibile realizzare tutta una serie di riforme che cambiarono per sempre la struttura dell’economia italiana.
Il governo Amato permise lo smantellamento dell’Iri, portando in dote i gioielli dell’industria italiana nelle mani delle grandi compagnie straniere, realizzò il prelievo del 6 per mille sui correnti bancari delle famiglie italiane, impose il ticket sanitario e aumentò l’età pensionabile. Fu la prima austerity della storia italiana eseguita in nome del principio del pareggio di bilancio. Gli effetti furono devastanti e controproducenti, tanto che il debito pubblico l’anno seguente aumento dal 105% al 115%. Lo Sme finì quando aveva perso la sua ragion d’essere, l’Italia uscì e svalutò la lira solo dopo che i suoi concorrenti europei avevano tratto tutti i vantaggi possibili da esso, e oramai non aveva più senso restare.
Ora nel 2016 ci si chiede se toccherà la stessa sorte all’euro, e se sia giunto il momento di staccare la spina alla moneta unica non prima però di essere passati all’incasso dei crediti che i paesi del Nord Europa vantano nei confronti dell’Italia, pari a circa 276 miliardi di euro come rilevato dai saldi target 2. Per rientrare di questi squilibri con l’estero, sarebbe necessaria una patrimoniale che solamente un governo non eletto potrebbe realizzare. Mentre continua il declino di Renzi, salgono le quotazioni del M5s di Di Maio divenuto decisamente più accomodante verso l’Europa. Sarà il Movimento dell’onestà a sostituire Renzi e a realizzare la fase finale dell’euro? Qualcuno è già pronto a scommetterci.
Articolo Precedente
Brexit, come sarebbe l’Europa del 2026
Articolo Successivo
Brexit, Bce: “Uscita del Regno Unito da Ue è rischio per la crescita dell’Eurozona”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Le condizioni di Papa Francesco si sono aggravate: “Crisi respiratoria e anemia, sono state necessarie trasfusioni e ossigeno”. I medici: “Prognosi riservata”
Politica
Meloni: “Ucraina combatte contro un brutale aggressore. Con Trump raggiungeremo una pace giusta”
Politica
Renzi a Miami da Trump all’evento del fondo saudita. Calenda: “Mi vergogno di averlo fatto eleggere”
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Le parole di Meloni sull’Ucraina sono state nette e chiare in un contesto molto difficile. Le va riconosciuto". Così il segretario di Azione, Carlo Calenda, da Odessa.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Amiamo le nostre nazioni. Vogliamo confini sicuri. Preserviamo aziende e cittadini dalla follia della sinistra verde. Difendiamo la famiglia e la vita. Lottiamo contro il wokeismo. Proteggiamo il nostro sacro diritto alla fede e alla libertà di parola. E siamo dalla parte del buon senso. Quindi, in definitiva, la nostra lotta è dura. Ma la scelta è semplice. Ci arrenderemo al declino o combatteremo per invertirlo?". Lo ha detto Giorgia Meloni al Cpac.
"Lasceremo che la nostra civiltà svanisca? O ci alzeremo e la difenderemo? Lasceremo ai nostri figli un mondo più debole o più forte? Vorremo che le nuove generazioni si vergognino delle loro radici? O recupereremo la consapevolezza e l'orgoglio di chi siamo e glielo insegneremo? Ho fatto la mia scelta molto tempo fa e combatto ogni giorno per onorarla. E so che non sono solo in questa battaglia, che siete tutti al mio fianco, che siamo tutti uniti. E credetemi, questo fa tutta la differenza", ha concluso.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Quando la libertà è a rischio, l'unica cosa che puoi fare è metterla nelle mani più sagge. Ecco perché i conservatori continuano a crescere e stanno diventando sempre più influenti nella politica europea. Ed ecco perché la sinistra è nervosa. E con la vittoria di Trump, la loro irritazione si è trasformata in isteria". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
"Non solo perché i conservatori stanno vincendo, ma perché ora i conservatori stanno collaborando a livello globale. Quando Bill Clinton e Tony Blair crearono una rete liberale di sinistra globale negli anni '90, furono definiti statisti. Oggi, quando Trump, Meloni, Milei o forse Modi parlano, vengono definiti una minaccia per la democrazia. Questo è il doppio standard della sinistra, ma ci siamo abituati. E la buona notizia è che le persone non credono più alle loro bugie".
"Nonostante tutto il fango che ci gettano addosso. I cittadini continuano a votarci semplicemente perché le persone non sono ingenue come le considera l'ultimo. Votano per noi perché difendiamo la libertà", ha ribadito.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "La sinistra radicale vuole cancellare la nostra storia, minare la nostra identità, dividerci per nazionalità, per genere, per ideologia. Ma non saremo divisi perché siamo forti solo quando siamo insieme. E se l'Occidente non può esistere senza l'America, o meglio le Americhe, pensando ai tanti patrioti che lottano per la libertà in America Centrale e Meridionale, allora non può esistere nemmeno senza l'Europa". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Il Cpac ha capito prima di molti altri che la battaglia politica e culturale per i valori conservatori non è solo una battaglia americana, è una battaglia occidentale. Perché, amici miei, credo ancora nell'Occidente non solo come spazio geografico, ma come civiltà. Una civiltà nata dalla fusione di filosofia greca, diritto romano e valori cristiani. Una civiltà costruita e difesa nei secoli attraverso il genio, l'energia e i sacrifici di molti". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni alla conferenza dei conservatori a Washington.
"La mia domanda per voi è: questa civiltà può ancora difendere i principi e i valori che la definiscono? Può ancora essere orgogliosa di sé stessa e consapevole del suo ruolo? Penso di sì. Quindi dobbiamo dirlo forte e chiaro a coloro che attaccano l'Occidente dall'esterno e a coloro che lo sabotano dall'interno con il virus della cultura della cancellazione e dell'ideologia woke. Dobbiamo dire loro che non ci vergogneremo mai di chi siamo", ha scandito.
"Affermiamo la nostra identità. Affermiamo la nostra identità e lavoriamo per rafforzarla. Perché senza un'identità radicata, non possiamo essere di nuovo grandi", ha concluso la Meloni.
(Adnkronos) - "Il nostro governo - ha detto Meloni - sta lavorando instancabilmente per ripristinare il legittimo posto dell'Italia sulla scena internazionale. Stiamo riformando, modernizzando e rivendicando il nostro ruolo di leader globale".
"Puntiamo a costruire un'Italia che stupisca ancora una volta il mondo. Lasciate che ve lo dica, lo stiamo dimostrando. La macchina della propaganda mainstream prevedeva che un governo conservatore avrebbe isolato l'Italia, cancellandola dalla mappa del mondo, allontanando gli investitori e sopprimendo le libertà fondamentali. Si sbagliavano", ha rivendicato ancora la premier.
"La loro narrazione era falsa. La realtà è che l'Italia sta prosperando. L'occupazione è a livelli record, la nostra economia sta crescendo, la nostra politica fiscale è tornata in carreggiata e il flusso di immigrazione illegale è diminuito del 60% nell'ultimo anno. E, cosa più importante, stiamo espandendo la libertà in ogni aspetto della vita degli italiani", ha concluso.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - L'Italia è "una nazione con un legame profondo e indistruttibile con gli Stati Uniti. E questo legame è forgiato dalla storia e dai principi condivisi. Ed è incarnato dagli innumerevoli americani di discendenza italiana che per generazioni hanno contribuito alla prosperità dell'America". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac a Washington. "Quindi, a loro, permettimi di dire grazie. Grazie per essere stati ambasciatori eccezionali della passione, della creatività e del genio italiani".