Un post apparso, pochi giorni fa, sul profilo di Roberto Saviano, ha scatenato una ridda di commenti e, in molti casi, proteste. Lo riporto: “Caligola nominò senatore il suo cavallo preferito; poteva farlo perché era l’imperatore. Vincenzo De Luca, governatore della Campania, fa nominare Roberto De Luca, suo figlio, superassessore a Salerno (Bilancio e Sviluppo) dopo aver ottenuto, da Roma, la desertificazione del Pd a Napoli. Se vivi al Sud e sei giovane e in gamba, ma non sei figlio illustre, scappa via e non voltarti indietro”.
Senza entrare nel merito della premessa politica fatta dallo scrittore, mi vorrei soffermare sulla parte trascritta in grassetto. Premesso che non solo al Sud i figli illustri se la passano molto meglio dei figli di nessuno, vorrei esprimere anche io un modesto parere perché in molti hanno polemizzato sul contenuto di quella frase. Alcune proteste provengono da autori che stimo, come Franco Arminio, il quale ha dichiarato, sempre sul social bianco-blu: “Io penso che sia un invito sbagliato [quello di Saviano, ndR]. Non credo che sia il caso di legare la permanenza in un luogo di enorme bellezza come il Sud italiano a quello che fa il presidente di una regione. Il Sud, come Saviano sa bene, è tante cose. E spesso a viverci dentro c’è un’intensità che non si avverte in luoghi più efficienti. […] Magari è il caso di invitare i migliori a restare e a battersi per aumentare le opportunità di lavoro, per loro e per i giovani che tanto in gamba non sono”.
Nelle parole di Saviano colgo una provocazione. Sono tra coloro che soffrono per l’emorragia incessante di diplomati e dei migliori laureati provenienti dagli atenei meridionali. Sempre più spesso costretti a partire, non senza aver cercato un’occupazione, per mesi o anni. Chi li colpevolizza, sbaglia. Nondimeno, mi rendo conto di come sia più facile, per chi abbia passato anche poco tempo fuori – dal Sud – decriptarne gli elementi che codificano i suoi difetti costituzionali, ipocrisie, lassismi e convenzioni a perdere. E, al contempo, coglierne i meravigliosi punti di forza e le caleidoscopiche potenzialità.
Il saggio “La questione”, di Salvatore Lupo (Donzelli editore) parla con illuminante chiarezza della grande ondata migratoria dei milioni di italiani che ebbe luogo all’inizio del Novecento. A tutti gli effetti fu un’occasione perduta per il rinnovamento delle condizioni del sud: i “ritornati” non erano poi tanto diversi rispetto a quando erano partiti; anche se, secondo F.S. Nitti, andavano risolvendo la questione meridionale. In effetti, degli effetti ci furono. Riporto le parole del prof. Lupo: “Si creò intorno al fenomeno migratorio un mercato finanziario, e attraverso i circuiti bancari le rimesse degli emigrati andarono a saziare la fame di capitali del complesso dell’economia nazionale. L’afflusso di valuta pregiata consentì soprattutto il riequilibrio di una bilancia dei pagamenti italiana strutturalmente deficitaria, e con esso la prima industrializzazione del paese. Sarebbe bene se questo contributo di lavoratori soprattutto meridionali a una prosperità soprattutto settentrionale fosse qualche volta valutato non solo dagli storici, ma anche dagli opinion maker che pontificano sui giornali”.
Oggi, le persone di buona volontà che facciano rientro rendono difficile il gioco a chi, invece, per viscida convenienza, o cronico pessimismo, tende a neutralizzare ogni tentativo di affrontare i problemi coi soliti mantra: “qua è sempre andata così”, “non cambierà mai niente”, “la politica è marcia”: perché il muro di gomma è fondato su luoghi comuni e diabolici equilibri di convenienza. Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe che i genitori trasmettessero ai propri figli la voglia di restare e combattere a ogni costo, contro i lacci che tarpano le ali al Sud migliore, che chiede solo di potersi esprimere. In cui ci sono tanti splendidi segnali di ripresa: brillanti esempi di imprenditoria giovanile, eccellenze scientifiche e industriali, fulgidi esempi di associazionismo; ma, anche, carenze infrastrutturali disarmanti, servizi sanitari – e non solo – sempre più rosicchiati, disoccupazione giovanile inquietante.
In questo scenario di luci e ombre, le centinaia di storie di quelli che il gruppo Bentornati al Sud chiama “i ritornati”, la dicono lunga. E gettano una luce di speranza sulla crescita di una massa critica ed efficace di persone che, sul Sud, investono con coraggio il proprio futuro. Vi invito a leggerne qualcuna, di tali storie, sul ricco blog fondato da Marianna Pozzulo: www.bentornatialsud.it. Un ottimo esempio, quest’ultimo, di aggregazione e rielaborazione spontanea di esperienze, dal basso, a costo zero. Perché il futuro del Sud deve avere nuove parole chiave sui cui imbastire trame virtuose e feconde: trasparenza, partenza/ritorno, riappropriazione, rappresentanza, partecipazione, entusiasmo, vivacità e spirito di adattamento.