“Preservare la sicurezza e l’ordine pubblico”. Con questa motivazione le autorità turche hanno vietato lo svolgimento della marcia del Gay Pride, prevista per domenica 26 giugno a Istanbul. La decisione è stata presa dal governatore locale all’indomani delle minacce arrivate dall’Alperen Ocaklari, organizzazione giovanile turca ultranazionalista e legata al Partito della Grande Unione (Bbp) di estrema destra, che aveva promesso “una reazione molto chiara e dura” alla “immoralità” della marcia Lgbt in programma a Piazza Taksim. “Cari rappresentanti dello Stato – aveva affermato mercoledì 15 giugno Kursat Mircan, capo dell’ufficio di Alperen Ocaklari a Istanbul, durante una conferenza stampa – che chiudete gli occhi e le orecchie di fronte a questa immoralità e la consentite, vi chiediamo di assolvere al vostro dovere di fermarla. Non vogliamo assolutamente che camminino nudi sul sacro suolo del nostro Paese durante il mese benedetto del Ramadan. Lo Stato deve fermarli tenendo in considerazione i valori nazionali”. E aveva aggiunto che se le autorità turche non avessero vietato la manifestazione, “saremo noi a fermare la marcia”.
Una minaccia che era valsa la denuncia, da parte delle associazioni Lgbt turche, alle autorità e che (forse) hanno portato lo stesso Mircan a correggere il tiro, affermando l’indomani di essere solo interessato al rispetto della religione. In un’intervista a The Voice of Russia, infatti, il leader ultranazionalista ha affermato che le sue parole “non contenevano alcuna minaccia”, ma non ha mancato di confermare il suo approccio critico alla manifestazione, spiegando di aver fatto più tentativi di farla annullare: “Avevamo avvisato questo gruppo inviando i nostri rappresentanti. Il 99% della comunità turca è musulmana. Dobbiamo vivere nella tolleranza, certo. Ma non si può organizzare questa marcia ignorando noi e i nostri valori religiosi. Non vogliamo che marcino mezzi nudi e con le bottiglie di alcolici in mano in questa città benedetta, dove i nostri antenati hanno versato il loro sangue”.
Parole che arrivano in un momento delicato del processo di adesione della Turchia all’Unione Europea: a marzo lo stato turco e l’Ue erano giunti a una prima intesa in base alla quale Ankara si era impegnata a regolare i flussi migratori provenienti dal Medio Oriente e ad accogliere in territorio turco i migranti arrivati illegalmente in Grecia a partire dal 20 marzo. In cambio Bruxelles aveva promesso l’accelerazione della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi in cambio dell’attuazione di 72 riforme e dell’adeguamento della legislazione nazionale in materia di antiterrorismo.
Sul fronte dei diritti Lgbt non è poi la prima volta che in Turchia le manifestazioni delle comunità gay vengono represse: lo scorso anno il 13° Gay Pride di Istanbul era stato disperso con la forza dalla polizia dopo un divieto comunicato a poche ore dall’inizio. In quell’occasione la polizia era intervenuta in assetto antisommossa, sparando proiettili di gomma, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro i manifestanti: l’ufficio del governatore di Istanbul, Vasip Sahin, aveva poi fatto sapere che “non era stato informato e non era stata data alcuna autorizzazione per la parata, che era un’aperta provocazione. Il gruppo ha continuato la marcia nonostante gli avvisi, quindi le forze di sicurezza lo hanno disperso secondo i compiti previsti dalla legge e con un uso proporzionale” della forza. Secondo il comitato organizzatore, invece, la manifestazione era “stata vietata improvvisamente usando il mese di Ramadan come scusa”, nonostante i due eventi fossero già coincisi nel 2014 senza incidenti.
E sempre nel 2015, poco prima del Gay Pride, a Istanbul erano apparsi alcuni manifesti che riportavano la frase shock “Se vedete quelli di Sodoma e Gomorra che fanno le loro cose sporche, uccidete i colpevoli”. A firmare il gesto era stato un gruppo estremista che si definiva “Giovani difensori dell’Islam”, il cui logo, secondo alcuni osservatori, mirava a ricordare quello dell’Isis. Nel 2010, infine, il ministro della Famiglia e della donna Aliye Selma Kavaf, membro del partito di Erdogan, aveva definito l’omosessualità “una malattia” che deve essere “sdradicata”.