Non si tratta solo di uno dei tanti aneddoti che hanno come sfondo il paese del sole cantato in tutto il mondo da musicisti poeti come Enrico Caruso, Roberto Murolo, Lucio Dalla e Pino Daniele e perfino da santi come Giovanni Paolo II che, in piazza del Plebiscito, l’11 novembre 1990, accennò quale strofa del celebre brano scritto da Giovanni Capurro ed Eduardo Di Capua. Ma del segno di come Napoli sia davvero sempre stata un’autentica capitale mondiale, coprotagonista, di secolo in secolo, di tutte le principali vicende che hanno segnato la storia del pianeta. Perfino la Jihad islamica è passata dal capoluogo partenopeo, fortunatamente senza lasciare traccia. Per non parlare dell’inventiva e della genialità dei suoi abitanti, sempre capaci di reinventarsi e di accogliere lo straniero, non come altro, ma come fratello integrandolo e integrandosi con la sua cultura. Un ritratto che emerge dalle pagine del libro “La pelle di Napoli. Voci di una città senza tempo” (Cairo editore) del giornalista de Il Mattino Pietro Treccagnoli, cantore per eccellenza della storia del capoluogo campano.
Il volume è un vero e proprio “reportage di un napoletano nella Napoli senza veli”, come precisa l’autore, con i mille santuari laici e le devozioni, ma soprattutto le superstizioni dei napoletani di ieri e di oggi. Da san Gennaro a Sofia Loren, da Totò ed Eduardo de Filippo alla Madonna del Carmine, fino a Maradona. Sacro e profano si alternano continuamente fino a coincidere e a ritrovarsi nel sangue del patrono che a cadenza ritmata durante l’anno si scioglie per sfatare ogni cattivo presagio di sventura. “Napoli – scrive Treccagnoli – ha un ventre, uno stomaco, un cuore, un cervello. Tutto in disordine, tutto apparentemente al posto sbagliato. Sopra questa anatomia sballata, a ricoprire come un velo c’è la pelle di Napoli, lo schermo dove tutto il bene e tutto il male scivolano e si riflettono, come uno specchio deformante. Napoli vanta mille colori, ma dopo duemilacinquecento anni resistono solo il grigio sporco delle antiche pietre, l’oro appannato del tufo che l’ha innalzata e l’altro oro, quello della pazienza che spinge a rialzarsi dopo ogni caduta. Napoli – conclude Treccagnoli cade e si rialza, e comincia da capo, pazientemente”.