Sulle coste italiane, ogni 2 chilometri e mezzo si commette un’infrazione: si costruisce un ecomostro a due passi dalla spiaggia, si pesca illegalmente dichiarando guerra alle specie protette, si inquina. Il numero di reati commessi aumenta rispetto allo scorso anno, come anche quello delle denunce. Va peggio nelle regioni del Sud, ma salta all’occhio la terza posizione del Lazio nella classifica dell’illegalità. In cima alla lista c’è il settore della pesca di frodo, con 6.810 illeciti accertati, seguito dalle infrazioni relative alla cattiva depurazione e agli scarichi selvaggi (4.542), ma alto è anche quello dei reati legati al ciclo del cemento (4.482), dove regna la l’abusivismo edilizio costiero. È la fotografia scattata da Legambiente nel dossier ‘Mare Monstrum 2016’: crescono del 27% i reati ai danni del mare registrati nel 2015 da forze dell’ordine e capitanerie di porto. Legambiente ha stimato che il valore del ‘mare illegale’, tra sanzioni elevate e sequestri, si aggira intorno ai 210 milioni di euro.
IL MARE ILLEGALE – Nel 2015 le infrazioni sono state 18.471 (erano 14.542 nel 2014). Sale anche il numero delle persone denunciate (da 18.109 a 19.614) mentre flette, seppur di poco, il dato dei sequestri: sono stati 4.680 a fronte dei 4.777 del 2014. Oltre la metà degli illeciti (il 52,4%) si concentra al Sud, dove tradizionalmente è più forte la presenza della criminalità organizzata, ossia Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. “La Campania è maglia nera – rivela il dossier – con 3.110 illeciti (il 16,8% del totale), mentre a corta distanza si piazza la Sicilia, con 3.021 reati, il 16,4%”. Da sole le due regioni rappresentano un terzo di tutti i reati. Terzo è il Lazio, con 1.920 reati accertati. Seguono Calabria (1.838 illeciti) e Puglia (1.701). Anche se in posizioni diverse, in cima alla classifica ci sono le stesse regioni dello scorso anno. Le eccezioni? “L’exploit del Lazio, che dal settimo posto sale sul podio e l’uscita della Sardegna, che dal quinto scivola al settimo”. Di più: “Il Lazio entra per la prima volta nelle prime 5 posizioni in tutte le classifiche di settore: è 3° nel cemento illegale e nella pesca di frodo, 4° per infrazioni al codice della navigazione e 5° per l’inquinamento delle acque e del suolo”.
LA COSTA DI CEMENTO – Capitolo a parte meritano i reati legati al ciclo del cemento, in modo particolare l’abusivismo edilizio sulla costa. La Campania detiene anche il primato del cemento illegale, con quasi il 20% dei reati. “Gran parte dei quali – spiega Legambiente – è legata alla realizzazione di case, stabilimenti turistici, hotel, villaggi vacanza e altre infrastrutture private sul demanio marittimo o in aree vincolate lungo la costa”. Al secondo posto la Calabria con il 13,2%, seguita dal Lazio con l’11,5%, dalla Sicilia con il 10,3% e dalla Puglia con il 9,6%. Nei primi 5 posti per il mattone selvaggio, dunque, ci sono le stesse regioni della classifica generale. Secondo un recente studio dell’Istat, tra l’altro, è aumentato anche l’indice di urbanizzazione nelle aree tutelate dal vincolo paesaggistico imposto dalla legge Galasso. L’incremento maggiore è proprio quello costiero, che nel decennio 2001-2011 ha registrato quasi 18mila nuovi edifici. Puglia e Sicilia detengono il primato delle costruzioni lungo costa (più di 700 edifici per chilometro quadrato), seguite dalla Calabria con 600, ma cresce anche il cemento lungo l’Adriatico settentrionale (232 immobili in Veneto, 308 in Friuli Venezia Giulia), così come in Toscana, Basilicata e Sardegna (circa 300 per chilometro quadrato).
LA TOP 5 DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO – Nel 2016 i cinque casi emblematici dello sfregio alle coste sono tutti al Sud: gli scheletri di Pizzo Sella a Palermo, il villaggio di Torre Mileto a Lesina (Foggia), l’Aloha Mare ad Acireale, le 35 ville nell’area archeologica di Capo Colonna a Crotone e le case abusive dell’Isola di Ischia. “Purtroppo gli interventi di abbattimento sono pochi e sporadici”, rileva Legambiente. Eppure, in aree particolarmente martoriate tra gli ultimi casi quello della Valle dei templi di Agrigento, le demolizioni coatte “hanno indotto molti proprietari a demolire in proprio, con un risparmio sui costi e senza gravare sulle casse della pubblica amministrazione”. La stessa cosa è successa sull’isola di Ischia, così come nell’Oasi del Simeto e lungo il mare del Salento.
IL MARE INQUINATO E I DEPURATORI – Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Lazio guidano anche la classifica dedicata ai reati legati all’inquinamento delle acque, ovvero il 57,5% degli illeciti. La Campania domina la classifica con 794 infrazioni accertate. In questo ambito un ruolo importante lo hanno anche i depuratori. Il grado di copertura nazionale del servizio di depurazione è pari a circa l’88%, “ma se si considera la capacità di depurazione degli impianti – sottolinea Legambiente – secondo i dati Istat la copertura del servizio scende al 57%, con ben il 40% delle acque che non viene trattato ed è riversato nei fiumi, quindi in mare”. A conferma del grave deficit dell’Italia, ci sono le due condanne in seguito alle procedure d’infrazione 2004/2034 e 2009/2034 e una terza avviata nel 2014. “Il nostro Paese – ricorda Legambiente – da quest’anno dovrà pagare 480 milioni l’anno di sanzioni e, sino a quando le opere di messa in conformità non saranno terminate, quasi 800mila euro al giorno”.
LA PESCA DI FRODO – La pesca di frodo da sola conta il 36,9% degli illeciti contro il mare, con 6.810 reati, 6.646 denunce e 1.724 sequestri. La Sicilia guida la classifica, con 1.529 infrazioni, pari al 22.5% del totale. Seguono Campania, Lazio, Puglia e Calabria. Nel 2015 le capitanerie hanno sequestrato 5.296 attrezzature da pesca e 989.060 chili di prodotti ittici, perché pescati senza rispettare la legge. Pesce spacciato per fresco o conservato in condizioni igieniche pessime. Oltre ad alimentare il mercato nero e danneggiare i consumatori, la pesca illegale è guerra alle specie protette.