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Strage di Orlando, per l’Isis vittoria propagandistica. Ma pur sempre una vittoria

Ancora una volta lo scontro politico in una nazione occidentale verte intorno all’operato dell’Isis, o di chi usa questa bandiera jihadista per commettere azioni violente. Negli Stati Uniti, Barack Obama e Donald Trump si sono accusati a vicenda riguardo alla strage di Orlando. Il primo facendo presagire agli americani più attacchi del genere se Trump vincesse la corsa alla Casa Bianca, il secondo accusando l’amministrazione attuale di non essere in grado di proteggere gli americani. Naturalmente, i fatti di Orlando non hanno nulla a che fare con la politica interna americana, a parte, naturalmente, la facilità con la quale chiunque negli Stati Uniti può acquistare un’arma d’assalto.

La minaccia dello Stato Islamico, ormai, va ben oltre i confini del Califfato o quelli della maggiore potenza militare al mondo. Dal giugno del 2014, quindi nello spazio di appena due anni, l’Isis è diventato un’ideologia globale. Ha rimpiazzato al Qaeda quale punto di riferimenti ideologico del jihadismo moderno, e lo ha fatto perseguendo una politica nazionalista, focalizzata sulla creazione di un stato musulmano sunnita che ha, allo stesso tempo, il compito di proteggere a livello globale la popolazione sunnita, dovunque essa si trovi e di offrire un’ideologia rivoluzionaria e anti-imperialista perché anti occidentale, ai suoi seguaci.

Due eventi accaduti questa settimana ci confermano il successo di questa strategia: la strage di Orlando e la dichiarazione di fedeltà al califfo di al Zawahiri, de facto a capo della vecchia al Qaeda. E vediamo perché. E’ irrilevante se il motivo della carneficina in Florida fosse una manifestazione di solidarietà con l’Isis o il frutto della follia di un singolo individuo. L’equazione musulmano armato che spara all’impazzata in un locale gay e l’Isis è stata automatica. Non solo la stampa internazionale ci ha presentato questo binomio come un fatto, ma anche l’opinione pubblica mondiale ha immediatamente fatto questa connessione. A prescindere da quello che le indagini riveleranno, nell’immaginario collettivo l’Isis ha colpito ancora in un paese occidentale.

Non bisogna sottovalutare l’importanza di tutto ciò. Per l’Isis questa è una vittoria propagandistica fondamentale. E’ la prova che il suo marchio e’ diventato sinonimo del terrore jihadista! E la dichiarazione di sudditanza di al Zawahiri non fa che confermarlo. Ci troviamo di fronte all’ammissione, da parte di uno dei capi storici di al Qaeda, che lo Stato Islamico e’ la punta di diamante del jihadismo, una legittimazione che sebbene non avrà grosse conseguenze in occidente, potrebbe rovesciare alcuni equilibri nel Medio OrienteIn Siria ed nello Yemen, dove si combatte una guerra tra sciiti e sunniti, gruppi fedeli a o di matrice vicina al Qaeda si contendono i favori e l’appoggio dei sunniti con l’Isis.

Fino ad oggi, organizzazioni come al Nusra, nella Siria nord occidentale, hanno combattuto contro lo Stato Islamico, ricevendo anche aiuti finanziari e militari dalle forze di coalizione. Se al Qaeda si allea con il Califfato, saranno costretti o a seguire le direttive di al Zawahiri o ad abbandonare l’ombrello ideologico di al QaedaNegli ultimi due anni, dunque, l’Isis ha subito un’ulteriore metamorfosi. Da stato con fortissime connotazioni nazionaliste, è diventato un’ideologia globale il cui marchio ormai è sinonimo del terrore jihadista. Ciò significa che le sconfitte militari in Iraq, la perdita di città come Kobane, Ramadi o Falluja, ha scarsa rilevanza. L’ideologia del Califfato non può essere fiaccata riducendo il territorio che questo controlla

La domanda da porsi è se la leadership dell’Isis aveva programmato questa metamorfosi, se le inevitabili sconfitte militari erano state previste, se insomma esiste una strategia di lungo periodo e, se la risposta è positiva, allora bisogna domandarsi se ci troviamo nella fase internazionalista’ della violenza del CaliffatoE cioè, l’attivarsi di una serie di attacchi in terre straniere, e.g. Europa, Medio Oriente o Usa, non necessariamente teleguidati o telecomandati dal califfo ma prodotti da una sorta di autocombustione ideologica da parte di individui che vedono nel marchio del terrore Isis lo strumento per vendicare frustrazioni personali contro un sistema politico, sociale e culturale che detestano. 

Il problema a questo punto è ideologico e va ben oltre il controllo di una fetta del Medio Oriente. Se questa analisi è corretta allora dobbiamo aspettarci più attacchi, più stragi simili a quella di Orlando. E se questa analisi è corretta allora la risposta non può essere militare ma politica, sociale, culturale, una risposta di lungo periodo, che eroda progressivamente il simbolismo rivoluzionario, anti imperialista del marchio Isis.