“La Raggi vincerebbe anche restituendo la metà dei voti”, è una delle battute che girano su Twitter, che meglio fotografano il voto della Capitale. Una vittoria col 67% contro il Pd a Roma non la spieghi solo con la voglia di cambiamento o il voto di protesta. La Raggi ha conquistato i romani, è piaciuta più dei vari Giachetti, Meloni e Marchini. Merito di una sua comunicazione personale eccellente, cresciuta a vista d’occhio nel passare dei giorni, e di una campagna che ne ha evidenziato la coerenza.
Ad affossare gli avversari, oltre ai meriti della Raggi e del M5S, è stata invece la loro incoerenza di fondo dimostrata dall’inizio alla fine della campagna elettorale. Mentre le accuse del Pd al M5S sul fatto che la Raggi fosse eterodiretta, sul suo curriculum e sulle consulenze erano complesse, tirate e così amplificate da risultare poco credibili, l’incoerenza degli sfidanti è stata palese. Vediamola.
Partiamo da Roberto Giachetti. La domanda è: quale Roberto Giachetti, quello che urla con la bava alla bocca sui social network o il gentiluomo che abbiamo visto in tv? L’incoerenza di Giachetti nella sua comunicazione online è stata il suo errore più grande.
A leggere i suoi tweet e i post Facebook pare di leggere un Esposito o un Andrea Romano: attacca la Raggi ogni giorno, con toni che non gli si addicono affatto: “Comincio ad essere davvero stanco. Non di questa lunga campagna elettorale. Ma delle balle che Virginia Raggi continua a raccontare ai romani. Capisco la paura con l’avvicinarsi del ballottaggio…”, oppure: “Care romane, cari romani, adesso anche basta. Da molto tempo sto chiedendo a Virginia Raggi di fare un confronto con me. Lei è sempre scappata…” e vari hashtag e campagne di attacco.
L’aggressività mostrata dal Pd non ha premiato, sia perché l’antipolitica in questa sfida era dalla parte del M5S, sia perché non era coerente col candidato sindaco. Giachetti ieri sera si è assunto le responsabilità della sconfitta, ma sono convinto che nei prossimi giorni, calmate le acque, si toglierà qualche sassolino dalla scarpa, prendendo le distanze da una comunicazione urlata che non gli appartiene.
A Giachetti in questa sfida sarebbe convenuto contrapporsi al M5S dimostrandosi sorridente, rassicurante, moderato. Come effettivamente è. A dimostrazione dell’efficacia di questo, abbiamo visto che la sua uscita più simpatica, quella del video realizzato con Proforma dove mette in scena una gag autoironica sulle sue scarse qualità di attore, è stato il suo contenuto più virale, che gli ha permesso in una settimana di avere più coinvolgimento del M5S sul web. Nella settimana che va dal 17 al 25 maggio, Roberto Giachetti ha incrementato la sua viralità (condivisioni, commenti, like, citazioni e retweet) del 33%. Contro il 24% di Virginia Raggi. Quella era la strada da percorrere per perdere bene.
Altro segnale di incoerenza del Pd è quello, ormai famoso, del simbolo del partito nascosto nei manifesti. Un concetto che tutti hanno capito e che hanno giudicato negativamente: se vi vergognate del vostro partito perché vi candidate? E perché non dovremmo vergognarci pure noi di votarlo? Si sono chiesti gli elettori. Venendo agli altri avversari. La Meloni probabilmente si è rivelata la delusione più grande. Si è presentata come altra donna dell’antipolitica e ha invece solidarizzato gradualmente con gli avversari sotto attacco del M5S.
La sua candidatura nasce già incoerente, col balletto “mi candido, non mi candido”. La Meloni ha aspettato Berlusconi fino all’ultimo secondo. Questo atteggiamento è profondamente incoerente con l’immagine della donna forte che voleva trasmettere e che piaceva molto ai romani. Inoltre aveva detto che al ballottaggio avrebbe votato la Raggi, ma ha cambiato idea al confronto Sky, forse offesa dagli attacchi della candidata M5S. Deve intervenire Salvini a metterci una pezza, ribadendo il suo appoggio al M5S.
Marchini si è dimostrato incoerente presentandosi come “libero dai partiti” ma si è poi consegnato completamente a Berlusconi, per poi pentirsene pubblicamente a voto finito dicendo che “i vecchi vascelli non servono più”. Doppia giravolta. A Roma, nell’era della lotta alla Casta, con la Ferrari non si va molto lontano.
La Raggi è l’unica ad esser rimasta coerente. Il no alle Olimpiadi è impopolare? Non ci interessa, abbiamo detto no e questo resta. Abbassare le tasse suona bene? Dicevamo che non si può, non cambiamo idea. Gli attacchi a Caltagirone e ai dirigenti delle partecipate spaventano le borse o l’opinione pubblica? Pazienza, è quello che faremo. Il tutto mantenendo lo stile 5 Stelle della campagna elettorale low cost e del contatto col territorio. La fiducia trasmessa da un candidato è il fattore principale nella scelta di voto di un cittadino. L’incoerenza è il suo opposto, ed è ciò che hanno pagato gli avversari del M5S a Roma.