A sentire il premier "ha vinto chi ha interpretato meglio l’ansia di cambiamento". Poi i distinguo: "E’ normale che dopo due anni di governo in alcuni Comuni siamo andati bene, in altri male, non vedo particolari novità - aggiunge - Novità è se una volta finita la campagna elettorale i cittadini vedono i risultati se no è solo il gioco della politica"
Le parole sono quelle dello sconfitto. Perché i risultati dei ballottaggi restituiscono al Partito democratico non solo tanti debacle, ma anche un grosso problema strutturale. Matteo Renzi lo sa e non si nasconde. All’indomani della perdita di Roma, Torino e di altri capoluoghi minori, il presidente del Consiglio analizza l’esito del voto a Palazzo Chigi. E ammette: “E’ stata una vittoria netta del M5s. Ed è stato un voto non di protesta, ma di cambiamento. Non minimizzo né sdrammatizzo, ma il segnale c’è”. Ammessa la sconfitta, tuttavia il segretario-premier non risparmia dei distinguo. “Credo che si debba essere molto chiari e chiamare le cose con il loro nome – sottolinea – Tra ieri e il 5 giugno hanno votato 1.300 comuni e ci sono risultati molto diversi, sono dati molto articolati e frastagliati. Noi confermiamo che si tratta di un voto che ragioni di forte valenza territoriale. Però c’è un dato nazionale. C’è una vittoria molto netta del M5S che va chiamata con il suo nome”. Secondo Renzi “ha vinto chi ha interpretato meglio l’ansia di cambiamento“.
Parole molto diverse, diametralmente opposte rispetto a quelle pronunciate la notte del 17 aprile dopo il mancato quorum al referendum anti trivelle. Tanto è vero che il premier augura “un caloroso buon lavoro a tutti gli eletti” e promette che il governo “aiuterà tutti a cercare di fare bene. E noi andiamo avanti ad occuparci delle priorità istituzionali“. Perché la partita, per lui, non è quella persa ieri, ma quella che si giocherà i primi di ottobre. Prima, però, bisognerà analizzare il risultato all’interno del partito. “Nel Pd faremo un confronto ampio e articolato, una discussione franca, a viso aperto, su tutte le questioni” dice, ricordando la convocazione dell’assemblea del Pd per venerdì prossimo. In cui, assicura il premier, sarà fatta “una discussione vera, franca e sincera” e dove si capirà “se il segretario ha fatto bene o fatto male”. Di certo quella del 24 giugno non sarà l’occasione per parlare della nuova legge elettorale: “Non è e non sarà all’ordine del giorno un cambiamento dell’Italicum. Adesso parte l’esigenza di dare le risposte ai cittadini. Noi siamo impegnati su questo perché prima delle divisioni di parte c’è l’Italia” assicura il presidente del Consiglio.
Nel frattempo, però, Renzi è costretto a fare i conti con queste divisioni: “Dobbiamo come Pd riflettere per dare una lettura non banale del voto, è molto più complicata – annuncia – E quindi bisogna coniugare insieme i valori della nostra comunità con la capacità di aprirsi al nuovo senza scadere nel nuovismo. Dovremo come Pd dare il meglio di noi stessi per essere più forti la prossima volta – dice – E’ normale che dopo due anni di governo in alcuni Comuni siamo andati bene, in altri male, non vedo particolari novità – aggiunge – Novità è se una volta finita la campagna elettorale i cittadini vedono i risultati se no è solo il gioco della politica. Chi vuole collaborare con noi ci siamo”.