“Un giorno si segga al mio posto e vediamo se sarà capace di fare quello che oggi ha auspicato”, così il sindaco Piero Fassino all’allora consigliere comunale Chiara Appendino. La seconda profezia – dopo quella del 2009, quando disse: “Grillo fondi un partito e poi vediamo quanti voti prende” – si è avverata: Chiara Appendino si è seduta al suo posto da sindaco di Torino. Una vittoria inaspettata e clamorosa che, insieme a quella di Roma, dà il segno inequivocabile di queste amministrative: trionfo 5 Stelle, disfatta di Renzi.
Torino è la mia città, dove sono nata e cresciuta: la conosco bene. E come, nel 2013, vedere Piazza Castello gremita per Grillo mi fece capire che il M5S sarebbe andato ben oltre le percentuali previste nei sondaggi, così oggi la conquista dell’antica capitale – dopo oltre 20 anni di amministrazioni di centrosinistra e 15 anni di sindaci Pd proclamati al primo turno, ribaltando tutti i pronostici (Appendino, sotto di 11 punti al primo turno, ha superato Fassino di 9, conquistando in totale 20 punti) – fa capire quanto il vento renziano sia cambiato.
Se la Raggi a Roma è stata la vittoria travolgente del nuovo contro il “finto nuovo” Giachetti (con dietro le vecchie amministrazioni, le vicende di Mafia Capitale, la candidata assessore Livia Turco) e Milano “trova le differenze” tra gli ex city manager di Albertini e Moratti (entrambi centrodestra) Sala e Parisi, sotto la Mole si è consumata invece la maggiore contrapposizione tra vecchio e nuovo: lo storico leader di apparato, ex potentissimo segretario dei Ds, e la nuova politica. Il vecchio leone è diventato renziano, ha messo il maglioncino alla Marchionne, ha sorriso all’establishment, alla borghesia, alla grande industria, ai salotti intellettuali e ha perso contro la crisi, che a Torino – sotto i cartonati della narrazione renziana della ripresa e le cattedrali nel deserto delle olimpiadi invernali del 2006 – dilania le periferie e il centro storico. Fassino ha sì ereditato il comune più indebitato d’Italia, facendo qualche passo avanti, ma nella classifica annuale del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle province italiane Torino è scesa dal 51esimo posto del 2011 (quando divenne sindaco) al 55esimo del 2015; sul fronte ordine pubblico è diventata quart’ultima in Italia (107esima su 110 province) con crescita di estorsioni, scippi, rapine, furti; in un solo anno hanno chiuso quasi 2.200 imprese (6 al giorno) e secondo Federconsumatori è Torino la città metropolitana italiana più cara per le spese sostenute dalle famiglie per i servizi pubblici essenziali: sanità, trasporti, rifiuti, acqua. È questo il popolo che ha votato il M5S e Chiara Appendino: i tanti che chiedono di essere ascoltati, perché non lo sono stati abbastanza, i tanti che vogliono sentirsi parte di qualcosa. Ora lo saranno? Vedremo, almeno ci provano.
Di fronte alla crisi che morde inutile evocare destra e sinistra. Ha senso dire che la Appendino ha avuto i voti della destra quando Fassino ha avuto l’endorsement di Forza Italia (dall’ex governatore Ghigo al candidato sindaco Napoli, nominato da Fassino presidente della società dei servizi dell’Anci), quando Renzi governa con i voti di Verdini, quando a Napoli dirigenti Pd hanno invitato a votare Lettieri?
Ma a Torino abbiamo assistito anche ai peggiori colpi bassi in campagna elettorale: dalla ministra Boschi che ha ricattato i torinesi sui 250 milioni di euro del governo che non sarebbero arrivati per il Parco della Salute se avesse vinto il M5S, ai 20mila posti di lavoro promessi da Fassino nelle ultime ore, al portavoce del sottosegretario Lotti, Funiciello, che ha paragonato la bocconiana Appendino a Sara Tommasi (gli insulti sessisti valgono solo per Boschi, Guidi, Boldrini), alla direttrice del Circolo dei Lettori (e moglie del guru della comunicazione di Fassino) che ha postato su Facebook la foto del figlio disabile invitando a votare Piero, fino al senatore Esposito che ha accusato Appendino di razzismo per il sostegno di Borghezio. Ora è finita o è solo l’antipasto di quello che ci aspetta ad ottobre?
Ribadisco per Renzi: non dovrebbe dimettersi da segretario del Pd dopo questa disfatta, che certo la vittoria risicata a Milano non attutisce?
Quanto a Fassino, realizza anche la sua terza profezia: accettando la candidatura a sindaco di Torino a fine 2010 – ma per un solo mandato: perché ha cambiato idea? – disse che voleva svolgere il ruolo di “traghettatore” verso le nuove generazioni. Be’, ora l’ha fatto.