Grant agli scienziati, possibilità di 'migrare' e finanziamenti nelle regioni più povere. Così, scrive la prestigiosa rivista britannica, l'Unione europea ha aiutato la ricerca. Nota dolente per l'Italia, che a differenza di Uk, Paesi Bassi e Svezia, "perde talenti"
Il Regno Unito vota ‘Leave’ al referendum sulla Brexit? Così indebolisce la ricerca. Perché l’Europa negli ultimi anni ha favorito il finanziamento, la mobilità e la collaborazione tra “cervelli”. A prendere posizione contro l’uscita di Londra dall’Unione europea è la rivista scientifica Nature, perché “in un momento in cui tante delle sfide più importanti che l’Europa deve affrontare sono sempre più regionali e globali, è il momento di costruire una Ue più forte e migliore, non di demolirla”. Tutto scritto nero su bianco in un editoriale che accompagna un articolo in cui vengono analizzate le 5 politiche chiave adottate dall’Unione per favorire la mobilità degli scienziati. E analizzando i flussi, accanto a nazioni come Regno Unito, Paesi Bassi e Svezia definiti “attrattori” di cervelli, l’Italia – insieme alla Spagna e alla Grecia – viene messa fra gli Stati che invece “perdono talenti”.
Dall’aver istituito la libertà di movimento dei camici bianchi fra i vari Paesi, ai grant che ogni anno vengono attribuiti a 9 mila ricercatori per spostarsi – esamina Nature – l’Ue ha fatto molto per incoraggiare gli scienziati alla mobilità. Un fenomeno che crea l’opportunità di ridistribuire la conoscenza e aiuta i ricercatori a far fronte alla carenza di competenze. Oltre alla possibilità di ‘migrare’, primo punto analizzato dalla rivista, l’Ue offre anche “una miriade di possibilità di collaborazione” fra cervelli di vari Paesi, inclusi i programmi di finanziamento che sostengono la formazione di consorzi internazionali, e una serie di attività economiche, politiche e di ricerca che favoriscono il contatto fra ministri competenti e ricercatori dei vari Stati membri.
Nell’analizzare la terza mossa chiave, Nature si focalizza sugli Stati dell’ex blocco comunista: in questi Paesi l’atteggiamento verso la scienza è cambiato dopo l’adesione all’Unione europea, si legge. Dei 170 miliardi di euro stanziati per la Coesione e lo sviluppo regionale negli anni dal 2007 al 2013, la Commissione europea ha spinto per destinare 20 miliardi allo scopo di rivitalizzare la ricerca nelle regioni più povere, cifra salita a 44 miliardi per il periodo 2014-2020.
Quarto punto: il programma di ricerca dedicato alle sfide sociali ha inoltre finanziato alcuni progetti di valore, fra cui gli studi che valutano gli effetti delle radiazioni a basse dosi sulla salute, o ricerche sul trattamento del Parkinson che erano state precedentemente abbandonate in diversi Paesi. Infine, quinto punto – conclude Nature – le sovvenzioni Ue hanno prodotto benefici che vanno oltre agli obiettivi dei progetti finanziati, incentivando le nazioni a rendere più competitivi i propri sistema di ricerca e permettendo di convogliare al meglio i fondi secondo il metodo di peer-review che premia il merito.