C’è la ‘ndrangheta dietro la latitanza di Matteo Messina Denaro, l’ultima primula rossa di Cosa nostra. O almeno, c’è stata in passato. E la conferma arriva dal magistrato che da anni coordina le indagini per arrestare il boss di Castelvetrano: il procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato. “Possiamo affermare dalle nostre indagini che la ‘ndrangheta ha sostenuto la latitanza di Matteo Messina Denaro. In questo momento il suo business principale è soprattutto il traffico di droga. Io credo che tema moltissimo che qualcuno possa venderlo“, ha detto il magistrato in un’intervista telefonica concessa al programma “Gli Intoccabili“, condotto da Klaus Davi su LaC.

Una notizia inedita quella che vede la ‘ndrangheta gestire la latitanza dell’ultimo superboss siciliano, anche se Principato sottolinea come “i rapporti fra la malavita organizzata calabrese e Matteo Messina Denaro sono basati su punti incontrovertibili, contatti con la ‘ndrangheta ci sono dai tempi di Riina. Non c’è niente di nuovo”. Il procuratore aggiunto di Palermo ha anche spiegato che “la leadership della ‘ndrangheta è dovuta al fatto che non c’è stato obiettivamente lo stesso lavoro se non da cinque sei anni, da quando è arrivato a Reggio Calabria il dottor Pignatone e adesso De Raho. Ma prima c’erano erano molto pochi risultati”.

Già in passato Nicola Gratteri, ex procuratore aggiunto a Reggio Calabria e nuovo procuratore capo di Catanzaro, aveva sottolineato come si fossero ormai invertiti i rapporti di forza tra calabresi e siciliani. “Ora – aveva detto il magistrato – è Cosa nostra che chiede all’ndrangheta la droga, si rifornisce dalla criminalità calabrese, che ha preso le redini di questo traffico a tutti gli effetti. Anche Cosa nostra americana non parla più italiano, non c’è più il legame di prima con la Sicilia. Adesso la mafia americana si affida ai calabresi per spaccio e traffico, soprattutto di cocaina”.Ed è proprio in relazione alla forza economica e criminale derivata dal narcotraffico su scala mondiale che Messina Denaro ha deciso di affidarsi agli ‘ndranghetisti. Come dire che sono i calabresi a proteggere l’eterna fuga del pupillo di Totò Riina, l’ultimo boss stragista latitante ormai dal lontano 1993.

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