Sindaco o sindaca? Tra i nuovi temi di discussione dell’Italia che si è svegliata con Virginia Raggi come prima donna alla guida del Campidoglio e la collega Chiara Appendino a Torino c’è il lessico. Le interessate, come ricorda oggi Giornalettismo.com, hanno due idee diverse sull’argomento: “Chiamatemi sindaco”, ha detto il 2 giugno scorso a “Un giorno da pecora” la Raggi. “Preferisco sindaca”, ha invece risposto la Appendino. L’Associazione stampa romana intanto lancia un appello: “No all’uso sessista del linguaggio”.
Il dibattito è aperto. L’abitudine di usare il maschile per chiamare il primo cittadino infatti è una regola nella maggior parte dei casi. L’Accademia della Crusca già nel 2013 aveva evidenziato il problema dicendo che “spesso la donna viene dimenticata dentro il genere maschile della professione che svolge”. Insomma chirurga, ingegnera, sindaca: sono tutte parole che esistono in italiano e che è corretto utilizzare. Il tema è stato spesso ignorato anche perché non c’è mai stata una vera necessità a livello nazionale di nominare le sindache donne visto lo scarso numero di elette. Ora però le cose sono cambiate. La prima ad inaugurare la “nuova era” è stata la presidente della Camera Laura Boldrini, da sempre “predicatrice” della teorie per cui è necessario usare la declinazione femminile: “Roma e Torino saranno amministrate da due giovani donne. Complimenti e buon lavoro alle sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino”, ha scritto la mattina dopo le elezioni su Twitter. Della stessa idea anche la scrittrice Michela Murgia: “Se suona strano chiamare sindaca una donna è perchè in fondo a sembrare strano è che lo sia”.
Intanto dalla commissione Pari opportunità dell’Associazione stampa romana è arrivato un appello ufficiale: “Per la corretta e paritaria rappresentazione della donna attraverso i mezzi di comunicazione”, si legge in una nota della presidente Arianna Voto, “invitiamo le colleghe e i colleghi ad adottare un linguaggio non sessista, a partire dal declinare al femminile la sindaca Virginia Raggi. Sarebbe questo il segnale di un riconoscimento della differenza come ricchezza e pluralismo culturale”.