di Monica Di Sisto*
Noi europei siamo fissati con il cibo? Ne sembra convinto Michael Froman, il capo negoziatore americano del Ttip, il trattato di liberalizzazione commerciale tra Usa e Ue, che una settimana fa ha definito “inutile” la posizione che la Commissione europea è costretta a tenere, a causa di forti pressioni da cittadini e imprese del settore, per una tutela più efficace, negli Usa, per i nostri prodotti a indicazione geografica protetta. “Con 250 dollari, e una richiesta che si può fare online, ogni produttore europeo può chiedere la registrazione di un marchio commerciale, e il governo americano lo proteggerà da chiunque voglia copiarlo in futuro”.
Con questa motivazione, Froman, incontrando dei gruppi di produttori di casa sua, ha escluso che gli Usa accetteranno mai di cambiare le proprie regole in questo ambito, per colpa del Ttip. Ci prepariamo quindi alla settimana decisiva di negoziato, quella che si terrà a Bruxelles dall’11 luglio prossimo, con un muro netto degli Usa contro alcune delle richieste più importanti per il nostro paese. D’altronde, il ministro per lo Sviluppo economico italiano, Carlo Calenda, ha ammesso nella recente audizione in Parlamento che ci sono problemi a far capire, dall’altra parte dell’oceano, l’importanza per noi di questo capitolo.
Ha portato come esempio positivo il trattato commerciale che la Commissione Ue ha chiuso con il Canada (il Ceta), e che sta per passare al vaglio del parlamento europeo e di quelli nazionali e nel quale, a suo avviso, è stato raggiunto un avanzamento importante. Calenda, che per questo si è beccato una serrata contestazione da parte di Fdi, Lega, M5s, Si, e molte perplessità inespresse nel suo stesso partito, considerando il Ceta un buon accordo, ha scritto alla Commissaria Ue al Commercio Cecilia Malmstrom che l’Italia, per arrivare a una sua rapida approvazione, è disposta ad appoggiarla nel tagliare fuori i parlamenti nazionali dalla sua ratifica. Deputati e senatori italiani, dunque, non avrebbero la possibilità di dire la loro sull’approvazione di un trattato complesso e molto controverso.
La campagna Stop Ttip Italia è riuscita a ottenere la copia della lettera dove Calenda, in vista del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno che deciderà se i parlamenti saranno o meno coinvolti, scrive alla commissaria che, dopo una consultazione politica e tecnica sulla materia, l’Italia ha deciso di sostenere la scorciatoia. E qui sorge la prima domanda: con chi si è consultato Calenda prima di decidere? Non certo con il parlamento, che ha scoperto questa missiva grazie alla Campagna Stop Ttip. Non ha convocato nemmeno il tavolo sui negoziati commerciali, dove siedono imprese, sindacati e associazioni, che pure, ogni tanto, informa delle sue intenzioni. Sarebbe importante che i parlamentari nazionali ed europei lo convocassero di nuovo per chiederglielo direttamente.
La seconda domanda, è più una convinzione: teme forse Calenda che se i parlamentari italiani si accorgessero che il Ceta è, in realtà un mini-Ttip, con le stesse problematiche del trattato Usa-Ue, dal tribunale speciale per le grandi imprese fino alla stessa protezione sbagliata e debole degli stessi prodotti di qualità, potrebbero bocciarlo in extremis? Che, infatti, il Ceta proteggerà male i nostri prodotti, costituendo un precedente molto pericoloso per la tutela del Made in Italy nel mondo, lo ha sostenuto uno dei maggiori esperti legali di Indicazioni Geografiche, Bernard O’Connor, in un recente articolo, uscito non appena il testo del Ceta è stato pubblicato.
Il Ceta proteggerà da marchio concorrente 173 prodotti di tutta Europa a indicazione geografica registrata. Quelle italiane sono appena 41, quelle più esportate, sostiene Calenda. Però, ad esempio, nella lista c’è il kiwi di Latina e non il pomodoro San Marzano, o l’olio della Sabina, tanto amati negli States. Tutti i prodotti non inclusi nella lista potranno ancora essere usati su prodotti canadesi. Nomi considerati generici come “mozzarella”, “mortadella” o gorgonzola”, potranno essere usati sui prodotti canadesi, basta che ci si accostino perifrasi come “in stile”, “fatto come”, e non si ostenti la bandiera italiana o il Colosseo.
La “follia” di negoziare sulla base di singoli e/o economicamente significativi prodotti, spiega l’esperto internazionale, è evidente, anche perché il Ceta dispone che nessun altro prodotto europeo di quelli attualmente riconosciuti potrà essere protetto in Canada dopo la chiusura dell’accordo, a meno che non sia nella lista o sia nuovo. Questa singola disposizione nega, quasi definitivamente, a circa 1.265 prodotti europei la possibilità di ottenere protezione o crescita in Canada. “E’ difficile trovare un fondamento economico, sociale, politico o intellettuale a tale approccio” conclude O’ Connor. “La logica del guadagno di breve periodo compromette, anche in questo caso, la consistenza di un intero sistema normativo”.
Le promettiamo, ministro Calenda che faremo in modo che questi, come tutti gli altri problemi posti dal Ceta, non sfuggano ai nostri parlamentari. In tutta Europa, associazioni e sindacati promuoveranno, nei giorni del Consiglio europeo, un “Ceta Tuesday” con tempeste di twitter, email, telefonate e altri mezzi di pressione per spingere i parlamentari a opporsi a questa furbesca scorciatoia. In Italia, la campagna Stop Ttip lancerà sul suo sito tutte le modalità per unirsi alla contestazione online e alle iniziative pubbliche che verranno organizzate in quei giorni.
*Vicepresidente dell’associazione Fairwatch, portavoce della Campagna Stop TTIP