Televisione

Brexit, a rischio Il Trono di Spade: tra gli “effetti collaterali” dell’uscita dall’UE, il taglio dei fondi alla popolare serie

Di sicuro non si rischierebbe la chiusura della serie, visto che HBO sceglierebbe semplicemente di girare altrove, e non a Belfast, dunque ancora una volta le conseguenze peggiori sarebbero proprio per l'economia britannica. Negli ultimi sette anni, 32 milioni di dollari di fondi europei per lo sviluppo hanno contribuito a finanziare film e serie tv di grande successo

di Domenico Naso

Come se non bastassero le altre numerose implicazioni politiche, sociali ed economiche, ecco che il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea su cui i cittadini britannici stanno decidendo in queste ore con un referendum, produrrebbe effetti negativi anche in campi che superficialmente potremmo definire “leggeri”.

Avete presente “Il Trono di Spade”? Probabilmente sì, visto che è una delle serie televisive più amate e osannate della storia. Sappiate che, seppur prodotto dall’americana HBO, la splendida storia tratta dai libri di George R. R. Martin viene girata in parte in Irlanda del Nord e, per questo, riceve dei sostanziosi fondi europei di sviluppo regionale. Se i sudditi di Sua Maestà dovessero decidere di salutare Bruxelles, quei fondi non potrebbero più essere usati e “Il Trono di Spade”, che ha un costo mostruoso di circa 6 milioni di dollari a puntata, rischierebbe grosso.

Non è una semplice questione di storielle televisive, visto che sono moltissimi i film e le serie tv di successo di produzione britannica e quindi destinatari dei generosi fondi di Bruxelles. David Francis, su Foreign Policy, ha utilizzato l’esempio di una serie così seguita globalmente come Il Trono di Spade per porre l’attenzione su un intero settore che potrebbe entrare in crisi con l’eventuale Brexit. Di sicuro non si rischierebbe la chiusura della serie, visto che HBO sceglierebbe semplicemente di girare altrove, e non a Belfast, dunque ancora una volta le conseguenze peggiori sarebbero proprio per l’economia britannica. Negli ultimi sette anni, 32 milioni di dollari di fondi europei per lo sviluppo hanno contribuito a finanziare film e serie tv di grande successo: Carol, splendida storia d’amore lesbo tra Cate Blanchett e Rooney Mara; Brooklyn, Shaun vita da pecora e anche Amy, il pluripremiato documentario sulla breve vita di Amy Winehouse. Produzioni britanniche, ma anche e soprattutto co-produzioni anglo-americane, che senza fondi europei potrebbero spingere i produttori d’oltreoceano a cercare altri lidi ancora parte dell’Unione per godere dei vantaggi che Bruxelles riserva loro.

David Francis ricorda, non senza un pizzico di malizia, che forse non è un caso la massiccia adesione di tante star britanniche del cinema e della tv alla campagna per restare nell’Ue: Jude Law, Keira Knightley, Benedict Cumberbatch e altre 278 personalità dello showbiz, dell’arte e della moda hanno firmato un lungo e accorato appello che recitava, tra l’altro, che “una Gran Bretagna nell’Unione europea non è solo più forte, ma anche più creativa e con più immaginazine, e il nostro successo creativo globale verrebbe duramente indebolito da un abbandono”. Questione di cultura, dunque, ma anche e soprattutto questione di “money”. Non è solo la Gran Bretagna, dunque, a rischiare di uscire dall’Unione europea. Anche i Sette Regni attendono con ansia la decisione dei cittadini britannici, proprio a pochi giorni dall’atteso finale della sesta stagione che andrà in onda nella notte tra domenica e lunedì.

Oltre il calo probabile del valore della sterlina del 15%, 820mila posti di lavoro che si perderebbero, una recessione dietro l’angolo e 155 miliardi di dollari di ricchezza che non verrebbero prodotti dall’economia inglese, aggiungete anche questo a ciò che potrebbe significare Brexit per i cittadini del Regno Unito. Che magari sono pronti a rinunciare ai burocrati di Bruxelles, ma sicuro che possano sopportare anche l’addio delle nobili case Lannister, Stark e Targaryen?

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