Questo è uno di quei casi in cui gli immigrati siamo noi. E mai come nelle ultime settimane gli inglesi hanno fatto in modo di ricordarcelo. Siamo italiani a Londra, tra di noi ci chiamiamo “expat” (che sta per espatriati), che è un modo più figo che dire emigranti, come ci chiamavamo mezzo secolo fa. Ma la campagna elettorale per il referendum Brexit ce lo ha sbattuto in faccia ogni giorno: siete degli stranieri in questa terra e non avete nessuna voce in capitolo. Non solo non possiamo votare, nonostante molti di noi vivano in Gran Bretagna da decenni, paghino le tasse e contribuiscano in maniera massiccia al benessere e alla prosperità di questo paese.

Ma non abbiamo avuto voce neppure nel dibattito pubblico. Parlo per gli italiani ma anche per tutte le altre comunità etniche di Londra che non hanno la cittadinanza britannica. Brexit è una questione che riguarda gli inglesi e che si vogliono risolvere tra loro. La Bbc, per fare un esempio, con tutte le sue politiche sulle minoranze e le diversità, e con tutte le sue direttive per cui se invita una donna deve invitare anche un uomo, se c’è un asiatico ci deve essere anche un africano e via dicendo, non ha chiamato un europeo che sia uno per esprimere il proprio punto di vista. Hanno misurato con il bilancino i pro Brexit e i contro Brexit, ma sempre inglesi erano.

Ebbene. Comunque vada a finire il voto, qualcosa è già cambiato. Noi italiani ci chiamiamo “expat” anche perché ci sentivamo parte di una grande comunità internazionale, composta di gente da tutto il mondo. Eravamo una piccola goccia nel melting pot di una città cosmopolita dove si parlano 300 idiomi diversi tra lingue e dialetti e in un vagone della metropolitana non ci sono due persone della stessa razza e colore.

Questo potrebbe finire domani e le conseguenze per gli italiani saranno pesanti. Eppure in Italia sento molta gente che è a favore del Brexit, perché ce l’ha con Bruxelles e con l’euro che li ha resi più poveri e con i burocrati che vogliono misurare la curvatura delle banane. Tutto questo pattume lasciatelo a Mario Giordano e a Vittorio Feltri e ai loro lettori.

Tante cose non vanno nella Ue, questo lo sappiamo. Tante cose andranno riformate e se ne può discutere a lungo. Ma non in questa sede. Il voto del Brexit non ha niente a che fare con le frustrazioni italiane verso l’Ue o con le misure che dobbiamo fare “perché ce lo chiede l’Europa”.

Ecco quali sono i motivi per cui ci conviene, da italiani, che la Gran Bretagna rimanga nella Ue.

1) In Gran Bretagna lavorano e studiano oltre 600mila italiani, dei quali si stima più di 450mila solo a Londra. Siamo, in termini numerici, una delle più grandi comunità straniere della capitale. Se la Gran Bretagna esce dall’Ue ci vorrà un visto per entrare e un permesso di lavoro per lavorare. L’ha detto chiaro e tondo Nigel Farage, il leghista in salsa britannica: “Finirà il diritto automatico per i cittadini Ue di entrare in Uk”.

Brexit, sei buoni motivi (almeno) per cui all’Italia non conviene

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