Capace di ferire il Belgio applicando al meglio i dettami del suo allenatore, priva d'iniziativa e preda della scarsità di risorse tecniche quando le era stato chiesto di attaccare la Svezia e brutta nella sua versione B contro gli irlandesi. L'assenza di Marchisio più che di Verratti è una di quelle fatalità alle quali una squadra deve saper sopperire se vuole fare strada nel torneo
Non lo sa neanche Antonio Conte se in caso di eliminazione contro la Spagna questo Europeo può essere considerato positivo o meno. Perché l’Italia è stata tutto e il contrario di tutto nelle tre partite del girone. Compatta sempre, appariscente mai e poi un pout-pourri di cose belle e meno belle. Capace di ferire il Belgio applicando al meglio i dettami del suo allenatore, priva d’iniziativa e preda della scarsità di risorse tecniche quando le era stato chiesto di attaccare la Svezia e brutta, davvero brutta, nella sua versione B davanti all’Irlanda in una prestazione che ha definito quanto la rosa sia poco profonda. Eppure alla fine ha chiuso prima con una giornata di anticipo. Ma nonostante ciò l’Italia ha avuto sfortuna nella pesca dell’avversaria agli ottavi e più in generale nella parte di tabellone che porta verso Parigi. Percorso impervio, ma forse proprio per questo più adatto alle caratteristiche degli azzurri. Non basta il passo di gambero avuto nelle tre partite del girone per decretare che l’esordio a Lione è stato l’eccezione e la regolarità sono invece le altre due uscite.
Le certezze dalla difesa
Soprattutto perché a Lille l’Italia si è presentata con appena tre undicesimi della formazione tipo. E il settore cruciale dell’assetto di Conte ha retto nonostante la scelta di schierare Angelo Ogbonna al posto di Chiellini. Gli automatismi difensivi di Barzagli, Bonucci e del centrale livornese sono stati tanto affinati negli anni di Juventus che l’assenza di uno dei tre viene metabolizzata, anche perché il primo cambio davanti a Buffon è il difensore del West Ham, che Torino l’ha frequentata e quindi conosce bene movimenti e dogmi contiani. Il resto lo fa una mediana che sarà pur povera di piedi ma ha voglia di spremersi e aiutare. Sotto il profilo tattico in fase di non possesso, l’Italia è una squadra da ammirare e rispettare. Gli zero gol subiti fino a sei minuti dalla fine della fase a gironi e le rare occasioni concesse a Belgio e Svezia raccontano bene quanto il muro sia spesso e solido.
De Rossi e Thiago Motta, l’anello debole
I problemi arrivano dopo che i tre hanno svolto il loro mestiere, distruggendo ed eradicando. Perché se la palla non viaggia direttamente dai piedi di Bonucci alla testa di Pellè o verso gli incursori Parolo e Giaccherini, l’Italia si scopre a corto di idee. Non è una novità. Conte in primis sapeva che questo sarebbe stato il primo e più grande problema dell’Italia. Il ricorso al 3-5-2 con richiesta di allargare il gioco sulle fasce, rifugio sicuro soprattutto sul lato di Candreva, è un escamotage per mascherare l’aridità quando la manovra deve passare dai piedi di De Rossi o Thiago Motta: poca velocità, frequente ricorso al gioco orizzontale e incapacità di saltare l’uomo accelerando la costruzione diventano una costante. L’assenza di Marchisio più che di Verratti è una di quelle fatalità alle quali una squadra deve saper sopperire se vuole fare strada.
Variazioni di ritmo: Candreva non basta
Il problema è che alla nazionale mancano le alternative, la tecnica individuale è piuttosto bassa e quindi basta una squadra onesta ma atleticamente importante come la Svezia o un undici agile, sporco e motivato come l’Irlanda per annullare la fase offensiva. A Conte mancano le variazioni di ritmo, la capacità di puntare l’avversario e creare superiorità numerica dalla trequarti in su. I nomi spendibili sarebbero Insigne ed El Shaarawy. I due hanno messo in chiaro contro l’Irlanda che non siamo qui a parlare di fuffa. Eppure Conte resta convinto che Eder sia la migliore spalla di Pellè. A foraggiare di spunti l’attacco azzurro resta così il solo Candreva che si spera di ritrovare contro la Spagna, quando servirà qualcosa in più per mettere sale su una sfida che dal 2008 ha sempre sorriso agli iberici. Conte ha finora curato molto tattica e moduli, convinto che quella sia la strada attraverso cui costruire qualcosa d’importante. “Siamo figli del lavoro”, ha ripetuto dopo il k.o. di Lille. Motivazioni, accuratezza nell’esecuzione e voglia di arrivare prima degli altri sul pallone sono i dettami del capocantiere. Se gli operai non mancano, l’Italia resta alla disperata ricerca dell’uomo per l’ultima mano, quella del tocco di colore. Oppure dev’essere perfetta nel camuffare quell’assenza.