Stati Uniti-Irlanda-Germania, senza biglietto di ritorno. Andrea Profidia è un ingegnere informatico di 41 anni, partito da Roma con una valigia colma di ambizioni e speranze. “Dopo la laurea ho lavorato per una società del gruppo Finmeccanica e quando è arrivata la possibilità di seguire un progetto negli Stati Uniti non ci ho pensato su due volte”, racconta. L’impatto con l’America è stato entusiasmante: “Io e mia moglie ci eravamo appena sposati e ci sembrava di aver vinto la lotteria”, ricorda. E in effetti i primi tempi tutto sembrava funzionare alla perfezione: “Lì conoscono davvero il valore della parola democrazia e c’è grande dinamismo nel mondo del lavoro – ammette -, nessuno si sognerebbe mai di chiederti la tua età durante un colloquio, quello che conta è il curriculum”.
Ma anche negli Usa non è tutto oro quello che luccica: “Negli anni ho imparato a riconoscere anche le storture di questo Paese, dai retaggi razzisti ai costi astronomici della sanità”. Così, dopo sei anni, Andrea decide di tornare nel vecchio continente: “Le nostre esigenze familiari erano cambiate, perché nel frattempo avevamo avuto due bambini – spiega -, e sentivamo il bisogno di stare in Europa, ma non in Italia”. L’obiettivo era trovare una nuova occupazione in Francia o in Germania, “ma la lingua era un ostacolo troppo grande da superare”, ammette. Così decide di mandare un curriculum in Irlanda: “Ero abbastanza scettico e invece l’azienda mi ha richiamato”.
“Negli Usa nessuno si sognerebbe mai di chiederti la tua età durante un colloquio, quello che conta è il curriculum”
Andrea e la sua famiglia fanno le valigie e volano a Galway: “Dal punto di vista familiare è un posto bellissimo in cui stare – ricorda -, vivevamo in campagna, in un ambiente molto sicuro, tanto che i vicini ci chiedevano: ‘Ma perché di giorno chiudete la porta di casa’?”. Anche in Irlanda, però, il sistema sanitario dimostra numerose imperfezioni: “Il costo dell’assicurazione era abbastanza alto – spiega -, e tutte le volte che abbiamo avuto bisogno di cure non abbiamo trovato medici all’altezza della situazione”.
Dopo tre anni di vita irlandese è tempo di guardarsi intorno. Il sogno è ancora la Germania, ma questa volta Andrea ha una chance in più: “Ho chiesto alla mia azienda la mobilità internazionale e dopo vari colloqui sono riuscito a ottenere un’ottima posizione a Stoccarda”, racconta. E in questo anno e mezzo ha già avuto modo di toccare con mano la funzionalità del modello tedesco: “Per gli adulti ci sono dei corsi di lingua sovvenzionati dal governo – spiega -, mentre la scuola offre ai bambini stranieri la possibilità di stare in una classe internazionale fino a quando non raggiungono il livello di tedesco dei loro coetanei”.
“In Germania la scuola offre ai bambini stranieri la possibilità di stare in una classe internazionale fino a quando non raggiungono il livello di tedesco dei loro coetanei”
Le politiche per la famiglia, poi, sono degne di questo nome: “Con il permesso di maternità e paternità ti danno il 60-70 per cento dello stipendio, una somma che ti consente di vivere senza problemi – spiega – e le donne possono prendere fino a tre anni di aspettativa non retribuita: è un modo di crescere i figli senza ricorrere all’asilo nido”.
E poi, naturalmente, c’è l’aspetto lavorativo: “Qui guadagno il doppio di quanto guadagnavo in Italia e poi per chi come me è impiegato nel settore delle automobili la Germania è il paradiso”. Dopo più di dieci anni di vita all’estero, nessuna nostalgia per il nostro Paese? “Purtroppo non vedo più lì la mia vita, sia dal punto di vista lavorativo che familiare – ammette -, e poi mi rendo conto che in Italia non è cambiato nulla, nepotismo e immobilismo fanno ancora da padrone”. Nonostante la nostalgia per gli affetti e per l’atmosfera italiana, Andrea non rimpiange la sua scelta: “Qui non è tutto perfetto, ma almeno sono passato da una situazione patologica a una con dei problemi fisiologici”.