I politici cavalcano la rabbia, promettono ciò che sarà impossibile mantenere. Senza Europa, spariranno i fondi per le regioni che ne hanno più bisogno. Sarà un’Europa Spezzatino. L’Europa della Grande Illusione. Avremo l’Unione europeina dei Paesi Baltici. Quella panslava danubiana e populismi e nazionalismi avranno la meglio
L’unica certezza è l’incertezza. Del presente, del futuro immediato. Di quello a lungo termine. Brexit è un punto d’arrivo, non di partenza, come qualcuno in veste di pompiere cerca di far credere. L’Europa, così come immaginavamo fosse, è defunta all’alba del 24 giugno 2016, quando i risultati del referendum inglese sono diventati ufficiali. Borse che crollano. Cancellerie in ebollizione. Governi allibiti. Nato in preallarme. Il Cremlino che festeggia. Il dollaro in rimonta. Persino l’Euro 2016 sconvolto: che succederà nel mercato del calcio, visto che tra pochissimo il football british diventa extracomunitario…
Su tutto svetta l’immancabile Circo Sciacallo del nazionalismo ristretto, coi cantori delle piccole patrie, coi populisti dell’euroscetticismo foraggiati da Putin, tutti insieme appassionatamente hanno infatti cominciato a strepitare. L’effetto Domino che tanto piace alla stampa popolare, alla tv spazzatura e agli esperti del sensazionalismo è già in atto: c’è chi soffia con tutto il fiato possibile sul fuoco ma non avvisa che l’incendio può far male. È una lotta di potere, mica per aiutare chi non ha. Che avrà sempre di meno.
Gli euroscettici gongolano
Vediamo un attimo, lo scenario Domino. Sebbene i governanti europei abbiano previsto di sdrammatizzare la situazione e di velocizzare al massimo le procedure del divorzio da Londra, c’è un messaggio ben preciso che si fa strada tra le capitale dell’Unione Europea: che i britannici non s’illudano di poter continuare ad approfittarsi del mercato interno senza partecipare al budget Ue: “Leave means leave”, se ve ne andate, ve ne andate, è il mantra del tedesco Manfred Weber, presidente del gruppo Partito Popolare Europeo (conservatore) al Parlamento europeo, assai vicino alla cancelliera Angela Merkel. Per Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione, Brexit è un atto di “automutilazione”. Insomma, gli umori non tendono a ricomporre i cocci del vaso rotto. Ne vedremo e ne ascolteremo delle belle il 28 e il 29 giugno, quando andrà in scena il summit Ue. Anche perché nei due anni che occorreranno a Bruxelles per sciogliere tutti i lacci e i lacciuoli con Londra potrebbe succedere di tutto.
Infatti, a voler essere realisti, dopo Brexit, in pole position c’è Grexit. Che succederà? Exit chiama exit. Marine Le Pen non ha perso tempo: già invoca Frexit. Salvini è partito in quarta. Avendo scarsa dimestichezza col lessico, parla di “barca che affonda”, naturalmente lui ha già la scialuppa di salvataggio (l’Europa che disprezza gli ha tuttavia generosamente riempito i conti correnti con il ricco salario di deputato europeo, alla faccia della coerenza…). Gli euroscettici gongolano: che bello! Sfasciamo quest’Europa governata dalle banche, che ci sorveglia con occhiuta implacabilità (e becca chi imbroglia: questo il vero problema…), che ci obbliga a regole insulse.
Sarà un’Europa spezzatino
Basta con l’Europa dei burocrati. C’è un’esplosione di rivendicazioni che sa di anarchia e di ingovernabilità. La rabbia offusca la ragione. I politici cavalcano la rabbia, promettono ciò che sarà impossibile mantenere. Senza Europa, spariranno i fondi per le regioni che ne hanno più bisogno. Sarà un’Europa Spezzatino. L’Europa della Grande Illusione. Avremo l’Unione europeina dei Paesi Baltici. Quella panslava danubiana: ma si sa come è andata a finire una ventina di anni fa, nei Balcani ci si è scannati senza pietà per divisioni identitarie e religiose, per spartizioni di territori e poteri locali. Ma le economie di quei Paesi che si sono emancipati coi kalashnikov e i mortai, con le pulizie etniche e l’insorgere di razzismo e xenofobie, sono in asfissìa. Senza l’Ue, andrebbero a ramengo.
Con questa Europa in pasto ai meschini nazionalisti, l’Ucraina sarà abbandonata al suo destino. La Scandinavia che ha sempre diffidato dell’Europa meridionale, si rintanerà nel suo ipocrita rifugio nordico. Persino la civile Olanda è in preda a sussulti xenofobi e ad estremismi sempre più inquietanti. L’alibi dell’insicurezza potrebbe fomentare divisioni pericolose, e portare all’imitazione dello “splendido isolamento” made in Britain. Immaginatevi un’Europa spezzettata in decine di aree identitarie, ciascun per sé Dio per tutti!
Che bello! Cioè, che brutto! Torneranno anni di tensione, ai confini, ristabiliti come vorrebbero i signori che fabbricano armi e munizioni, la pace non è mai un affare, la guerra, eccome. Catalogna e Paesi Baschi vorranno emanciparsi da Madrid. Scozia e Nord Irlanda già lo dicono, basta con Londra, noi siamo favorevoli a restare nell’Ue. E Bruxelles? Non solo il pericolo Jihad. Valloni e fiamminghi si odiano. L’exit lì è existenziale. E ancora, il tema più scottante: il discorso dell’egemonia tedesca. Che i francesi non accettano. Che l’Italia patisce. Che la Grecia condanna. Che la Spagna mal sopporta. Di cui la Polonia diffida. Senza dimenticare i fautori dei muri, dei fili spinati, dei respingimenti: Austria, Ungheria, Slovacchia. Un Brennero fortificato. Cannoni alle frontiere per scacciare le orde dei migranti. Non c’è che dire. Gli scenari della Microeuropa del futuro sono spaventosi. Manderemo i figli a combattere per difendere i nostri interessi, pardòn, gli interessi dei veri burattinai di questo gran sconquasso. Ah, come se la godono a Mosca. Un’Europa frammentata, debole, divisa è facilmente addomesticabile: basta pagare chi invoca l’ìndipendenza. Prossimo obiettivo, l’Euro e l’eurodifesa. Difesa e sicurezza, secondo il presidente francese François Hollande, “hanno il potenziale per diventare dei motori per l’integrazione europea”. Insomma, fine della favola. È stato bello, cari amici inglesi, adesso lasciateci in pace. Abbracciatevi Trump. Intrallazzatevi coi paradisi fiscali del Commonwealth, di cui peraltro si è servito il vostro primo ministro David Cameron, l’astuto e davvero lungimirante promotore del referendum.
Prima la Gran Bretagna lascia l’Ue meglio è
Auguriamoci che la procedura di liquidazione sia veloce, prima lasciano l’Ue meglio sarà: gli inglesi hanno sempre avuto da Bruxelles molto di più di quel che davano. Li si liquidi rapidamente: grazie, ci si sente. Ricomincerete a pagare i dazi: se ve lo siete scordati, cari amici che disprezzate l’Europa, l’Ue rappresenta il 45 per cento delle esportazioni britanniche. L’uscita dalla costruzione europea obbligherà a rinegoziare l’accesso al mercato unico, ed è probabile che non sarà gratis, che le condizioni saranno più difficili, e le trattative più complesse. Tanto per capirci, durante le lunghe e spossanti trattative, le imprese non avranno la pazienza d’aspettare di investire, fin quando la situazione non sarà chiarita. L’addio albionico ha i suoi prezzi, carissimi. Sapete che da noi, c’è persino chi auspica per gli altezzosi brexisti il ritorno ai fasti della Compagnia delle Indie…
L’Ue un’avventura nata grazie a un gruppo di sognatori
E pensare che l’inizio di quest’avventura era stato ben diverso, pieno d’entusiasmo, grondante di valori, di simboli, di speranza soprattutto.
Tutto era cominciato 66 anni fa. C’era una volta… Già. C’era una volta un gruppo di sognatori e di politici di grande spessore intellettuale e democratico che avevano immaginato un continente pacificato, e dei popoli che rigettassero la guerra come soluzione estrema dei loro conflitti d’interesse. Personaggi lungimiranti come l’italiano Altieri Spinelli, o il francese Robert Schuman, allora ministro degli Esteri, che alle quattro del pomeriggio di un giorno quello sì storico – il 9 maggio del 1950 – tenne a Parigi un discorso in cui per la prima volta in modo ufficiale compare il concetto di un’Europa come unione economica e, in prospettiva, un’Europa politica in cui le rivalità storiche tra le nazioni del Vecchio Continente erano superate, in nome dell’integrazione, della libertà, della democrazia. Quel discorso è passato alla Storia – con la esse maiuscola – come la cosiddetta “dichiarazione di Schuman”, ossia il documento in cui si auspica un’Europa Unita risorta dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale, il cui primo fondamentale progetto è quello di istituire la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Così sarà un anno dopo, col trattato di Parigi. Nasce la CECA. I paesi fondatori sono Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Italia e Germania Ovest.
Nel maggio del 1952 secondo trattato, questa volta riguarda la Comunità Europea di Difesa che verrà ripudiato dalla Francia due anni dopo. La CED muore. Ma l’economia incalza. Il 25 marzo del 1957 i Trattati di Roma danno vita alla Comunità economica europea. Undici anni dopo, il primo agosto del 1968, entra in vigore l’unione doganale. Londra s’inquieta. Ha paura di rimetterci. Bussa alla porta della CEE, gliela aprono con gioia. Il primo gennaio del 1973 Danimarca, Irlanda e Regno Unito entrano a far parte della CEE. Il passo successivo è quello politico: nel giugno del 1979 si indicono le prime elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento Europeo. Dopo di che, comincia l’allargamento della Comunità. Nell’81 aderisce la Grecia, due anni dopo i Dieci della Comunità adottano la Dichiarazione solenne sull’Unione europea che solleva qualche malumore tra i britannici più conservatori, gelosi dell’indipendenza e diffidenti di quest’apertura. Nell’86 è il turno di Spagna e Portogallo. Crolla il muro di Berlino e la ex Ddr entra automaticamente nella Cee.
Il 7 febbraio del 1992 i Dodici firmano il Trattato di Maastricht; l’atto di nascita dell’Unione Europea. Il primo gennaio del 1995 arrivano Austria, Finlandia e Svezia. Non la Norvegia, dove i suoi abitanti hanno votato contro l’adesione. Sempre nello stesso anno si adottano gli accordi di Schengen, accettati all’inizio solo da Francia, Benelux, Germania, Spagna e Portogallo. L’Italia si accoda il 26 ottobre 1997, nel 2000 si aggiungono Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. Nell’aprile del 2000 Spagna e Gran Bretagna firmano un patto che estende a Gibilterra la cittadinanza dell’Unione, primo territorio esterno del Regno Unito a entrare nei confini Ue. Ecco, questo è uno dei tanti busiliss del Brexit…Un anno prima era nato l’Euro.
Il razzo dell’euroscetticismo è in orbita e sarà un lungo viaggio
Il crollo dell’Unione Sovietica e le pressioni della Germania che vedeva di buon occhio l’allargamento a est della sua influenza economica, finanziaria e politica, accelera gli ingressi (2004) di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Tre anni dopo è il turno di Bulgaria e Romania. L’Ue copre ormai un’area di 4325mila chilometri quadrati, è il primo mercato del mondo. L’Euro è una moneta che ruba spazio al dollaro. L’Ue contrasta le mire russe, ma dipende dal Cremlino per le forniture energetiche. Lo scacchiere mediorientale mette in crisi Bruxelles, la guerra civile in Siria rilancia Mosca e mette in evidenza i limiti e l’autonomia europea sul fronte militare: chi comanda è Washington, tramite la Nato, Londra continua a pensarsi grande potenza. La crisi economica che colpisce duramente i PIGS (formula dispregiativa – maiali, la traduzione – inventata dagli anglosassoni per identificare i paesi a rischio bancarotta: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) è un altro significativo elemento di dissensi all’interno dell’Ue. Dulcis in fundo, le sanzioni alla Russia e i migranti sono il propellente che manda in orbita il razzo dell’euroscetticismo. Per adesso, si è staccato il primo vettore Brexit…dove si dirige questo missile, è difficile immaginarlo. Sappiamo solo che è un lungo viaggio, assai rischioso.