Con un risultato abbastanza inatteso, la maggioranza dei cittadini britannici ha votato in favore dell’uscita dall’Unione Europea. Si tratta di una tragica manifestazione di come l’abuso di sacrosanti istituti democratici, come il referendum, possa generare elevati costi per la collettività e produrre uno scenario in cui tutti perdono. Il primo punto, ovvio, da considerare è che nessuno sa esattamente cosa succederà ora che la Gran Bretagna ha votato: non esiste infatti un percorso chiaro e definito, ma solo una serie di alternative che possono verificarsi con diversi gradi di probabilità. Se quest’incertezza dovrebbe indurci a non fasciarci la testa anzitempo, poiché è possibile che gli scenari futuri non evolvano nel modo peggiore possibile, è tuttavia essa stessa un costo immediato e obbiettivamente quantificabile, come testimoniano il crollo della sterlina e delle principali borse.
La maggioranza degli economisti e commentatori concorda sul fatto che una significativa riduzione della libertà di circolazione di persone, merci e capitali nei confronti della Gran Bretagna, avrebbe effetti negativi sulla crescita dell’economia mondiale e che sarebbero proprio i cittadini britannici a pagare il prezzo più elevato: la loro economia beneficia in maniera rilevante del commercio con i paesi dell’unione Europea, dei movimenti di capitali e dell’immigrazione di lavoratori qualificati (sotto questo profilo anche in misura maggiore di molti altri paesi Ue).
Pertanto, se l’uscita dall’Ue può essere una scelta autolesionista o quasi irrilevante, nel caso in cui il Regno Unito propenda, ad esempio, per uno status simile a quello della Norvegia con l’adesione all’Eea (European Economic Area), che prevede contribuzione al bilancio Eu e libertà di movimento delle persone, perché in tanti hanno votato in questa direzione? Forse per protesta, o più probabilmente perché qualcuno li aveva ingannevolmente convinti che è possibile avere limitazioni sensibili all’immigrazione senza pagarne i drammatici costi in termini di minore crescita e di “ritorsioni” da parte degli altri partner commerciali.
Ken Rogoff ha scritto sul Boston Globe che affidare una scelta di questo genere ai cittadini, senza provvedere gli opportuni meccanismi di check and balances, di fatto, non è democrazia, ma una “roulette russa” politica. Con l’integrazione elevata e ancora in crescita, che caratterizza i sistemi economici a livello globale, una scelta “di pancia” oltre la manica può affossare i listini di mezzo mondo e scatenare panico e vendite su titoli “fragili” quali quelli del comparto bancario italiano.
Se c’è una lezione, nella recente consultazione britannica, può essere quella di non cedere alle sirene della “demagogia da social network” che, travisando il ruolo della partecipazione democratica, legittima è sacrosanta nella scelta dei propri rappresentati o nella decisione di temi di coscienza (aborto, eutanasia etc) propugna un’illusoria visione taumaturgica della democrazia: non è sommando 100, 1000 o 1 milione di incompetenze che può riuscire ad affrontare efficacemente i problemi delle economie e società contemporanee. L’alternativa ha costi collettivi molto elevati ed i primi a pagarne il prezzo sono proprio i cittadini impropriamente chiamati al voto.